Nonostante i ventisette anni compiuti, è solo dal 2010 che la rassegna ha cambiato pelle, diventando la prima vera vetrina della Calabria se si pensa che, tranne per il lavoro di Scena Verticale con il suo festival Primavera dei teatri (che si svolgerà nella prima settimana di novembre) e per il Rat teatro dell’Acquario, il teatro contemporaneo calabrese ha sempre avuto poca visibilità in campo nazionale.
Così, grazie a Teatrop, compagnie regionali e nazionali, operatori del settore, critici e giornalisti sono giunti a Lamezia Terme dove, per quattro giorni, è stata proposta una kermesse che ha visto alternarsi 18 spettacoli di 16 compagnie in più location. In cartellone, oltre i classici spettacoli di teatro in strada con parate, maschere, giocolieri, acrobati e clown che caratterizzavano le prime edizioni della rassegna, abbiamo potuto vedere alcune delle creazioni più interessanti soprattutto della scena calabrese.
La manifestazione è stata preceduta da un importante tavolo di lavoro per la creazione di un manifesto comune di tutte le regioni sul tema delle Residenze, seguita da un’apertura “en plein air” con “La Grande Parata di Pulcinella”, parata-spettacolo di originale e suggestiva fattura dovuta al Teatro Bertold Brecht di Formia.
Nei quattro giorni di festival siamo stati testimoni del coraggioso tentativo di farsi conoscere ed apprezzare di una generazione di teatranti del Sud che, pur tra effettive difficoltà, sta lavorando seriamente per sviluppare un percorso creativo originale.
Per la verità, soprattutto nel teatro ragazzi, pochi sono ancora i risultati degni di nota, ma il cammino è solo all’inizio e siamo sicuri che piano pian darà esiti fruttuosi.
Testimone di questo percorso è stato lo spettacolo di Teatrop dedicato al mito di Colapesce.
Dopo averci fatto assaggiare un promettente studio l’anno scorso, Pierpaolo Bonaccurso, con il fondamentale apporto musicale di Fabio Tropea, ha presentato in forma definitiva “La maledizione del sud”, sua narrazione dedicata a uno dei principali topoi narrativi della cultura popolare meridionale, già per altro visitato in modo cospicuo dal teatro.
Colapesce è il protagonista di una leggenda siciliana che affonda le radici nel XIV secolo. Il protagonista, abbandonati i riottosi genitori, lascia la sua terra natale per immergersi nel mare, vivendo a contatto con tutte le meraviglie che popolano gli abissi. Nel medesimo tempo però è in contatto con i suoi concittadini, tenendoli informati sulle burrasche, liberandoli dai mostri Scilla e Cariddi e prendendosi l’onere, davanti a Federico II, di reggere sulle sue spalle la Sicilia che sta per sprofondare.
Bonaccurso racconta tutti questi episodi mescolando il dialetto lametino con l’italiano e la corporeità dei gesti, in stretto rapporto con una originale colonna sonora musicata dal vivo con marimba, didjireedu e altri strumenti che ripercorrono le sonorità del Mediterraneo.
In questo modo l’attore riesce a comunicare agli spettatori in modo appassionato e convincente tutta la particolarità del personaggio, semidio benefico e maledetto che contiene in sé tutte le differenti particolarità di una terra meravigliosa ma nello stesso tempo densa di contraddizioni come la Sicilia, e non solo.
Interessante per molti versi anche “Iagonìa”, rivisitazione in chiave grottesca dell’Otello, proposta della residenza teatrale Re-act della città di Soverato, l’accademia Civica D’Arte Teatrale Officina Teatrale diretta da Giovanni Carpanzano con le Scuole Civiche di Teatro di Catanzaro.
Lo spettacolo si presenta come un buon esempio di teatro corale, dove sette giovanissimi allievi si trasformano in Buffoni per narrarci la celebre tragedia scespiriana di Otello, vista dalla parte di Iago.
Attraverso coreografie allegoriche dense di tragico e nel medesimo tempo beffardo espressionismo, che mescolano la narrazione, le parole scespiriane e la gestualità, gli attori si tramutano nei fantasmi che affollano i pensieri di Otello e che alimenteranno la sua gelosia portandolo ad uccidere la sposa diletta.
La cadenza dello spettacolo, pur essendo ripetutamente sopra le righe, con un utilizzo eccessivo dei toni urlati, riesce a comunicare tutto l’abisso del sentimento della gelosia che pian piano si impossessa del protagonista, fornendo ai ragazzi una palestra attorale di buona efficacia, che ha i suoi risultati migliori nella ricreazione di un teatro delle marionette dal ritmo travolgente.
Di grande efficacia ci è parso “A stracci a pezzi, a morsi a cenci, a ciocche!”, l’omaggio semifuturista a Ettore Petrolini operato da Maurizio Azzurro e Paola Maddalena della compagnia La Mansarda, con alla chitarra Marco Castelli, che ripercorrono con arguzia e maestria gran parte del repertorio di Petrolini, riconsegnandoci tutto il profumo e le atmosfere di questo grande artista attraverso le sue figure più famose, da Gastone a Fortunello a Nerone.
Convincente sotto tutt’altro registro anche “Rose rosse”, la narrazione tratta da fatti realmente accaduti che Enzo de Liguoro, con la regia di Sista Bramini, dedica alla travagliata esistenza di Massimo, un giovane cresciuto nella Napoli tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 che, grazie alla partecipazione alla famosa Carovana 11 di Exodus, un programma di recupero per tossicodipendenti, e basato su un viaggio in bicicletta fino in Olanda, riesce ad uscire dal baratro in cui era caduto.
De Liguoro conferisce alla narrazione un ritmo incalzante, perfettamente in linea con la tragicità dei fatti narrati, tra monologhi interiori e dialoghi evocati che ripercorrono le tappe salienti di tutto il percorso di Massimo, offrendo agli spettatori una grande prova di attore e un racconto paradigmatico di forte intensità.
Non del tutto riuscito, pur nella nobiltà dei testi proposti e per la presenza di tre ottimi attori, ci è sembrato invece “Amore e magia nella casa di Pulcinella”, coproduzione di Libera Scena Ensemble e Teatro Bertolt Brecht con Lello Serao, Maurizio Stammati e Margherita Vicario, rivisitazione del “Don Fausto” di Antonio Petito, che rielabora, in chiave comico grottesca, la vicenda di Faust.
A nostro avviso, sia drammaturgicamente sia visivamente il rapporto tra burattini e attori risulta alquanto confuso, e la vicenda manca spesso di quella leggerezza che questo tipo di teatro meriterebbe.
Dicevamo del teatro ragazzi e delle poche creazioni che ci hanno veramente convinto. Tratto comune di molti spettacoli visti è stato l’utilizzo assai frequente del teatro di figura, troppo spesso declinato in modo approssimativo, come nel caso de “Il giardino delle stelle fiorite” liberamente tratto da “Il Piccolo Principe” di Antoine di Saint-Exupéry, dove la pur brava interprete Paola Scialis non riesce appieno a dominare i pupazzi e i giocattoli di scena; o come “Alice nel paese delle Eco-meraviglie”, dove le due animatrici dei Teatri immaginari, tutte tese a sfruttare in senso divulgativo le vicende narrate da Carroll, si perdono in un accumulo di tecniche che si amalgamano poco tra loro.
Più a loro agio invece ci sono sembrati Antonella Gallo e Alessio Totaro del Teatro della Maruca nel rappresentare, attraverso la narrazione e l’utilizzo di semplici giocattoli, illuminati di volta in volta per creare atmosfere diverse, il celebre “Racconto di Natale” di Dickens, a testimonianza di come la semplicità di utilizzo delle tecniche possa essere la scelta vincente.
Cosa che non accade, per esempio, ne “Il re leone va in pensione” della compagnia La Mansarda, dove il regno della fantasia è popolato dai principali personaggi delle fiabe, vestiti di tutto punto, proposti in un gioco drammaturgico ripetitivo, in cui è proprio la fantasia a mancare.
Ci ha poco convinto anche “Flic & Floc. Funeral show per ridere e scherzare con gli invisibili” di Teatrop, vero e proprio pasticcio teatrale che, nel pur nobile tentativo di creare un varietà per bambini, mescola alla rinfusa teatro su nero, echi ioneschiani, cabaret musicale, in uno spettacolo che, secondo noi, deve ancora trovare il suo giusto baricentro di intenti.
E allora, a testimonianza di come la drammaturgia sia il nodo focale da risolvere, lo spettacolo di teatro ragazzi che ci è piaciuto di più è ancora una volta una narrazione: “Tre civette” di Alice Giulia Di Tullio, viaggio iniziatico e avventuroso di Antonello che, per diventare adulto, deve superare moltissimi ostacoli; un percorso raccontato con garbo e semplicità coinvolgente.