Mestoli, posate e cloches in acciaio pendono dalla graticcia, accompagnate da un leggero rumore di acqua che scorre. Così viene accolto il pubblico per “Tito”, in scena al Teatro Bellini di Napoli.
Quale sarà mai il legame con la cucina in un’opera sanguinaria come quella che ci si aspetta di vedere? Naturalmente lo scopriremo solo alla fine…
“Tito Andronico” è la prima delle tragedie di Shakespeare, che in gioventù aveva scritto un’opera che attraesse il pubblico per i suoi contenuti cruenti. E forse anche su questo ci aveva visto lungo, precursore di un’abitudine oggi ben radicata. La sua tragedia di vendetta – siamo alla fine del Cinquecento – fa pensare più al cinema di Quentin Tarantino che non all’autore dei romantici “Sonetti”.
Di sicuro possiamo affermare che il regista Gabriele Russo ha saputo sapientemente mostrarci sia il lato ‘splatter’ della tragedia che il lato epico dei personaggi, elementi che nella riscrittura di Michele Santeramo perdono la connotazione propriamente tragica per diventare talvolta tragicomici. Nel tragico scorrere delle vicende, scappa infatti persino qualche risata. Un divertimento che nasce dalla sdrammatizzazione dei personaggi, consapevoli di essere attori che quasi combattono il loro naturale sdoppiamento, uscendo spesso dal ruolo per correggere la recitazione cercando di caricare il dramma, e lo fanno dichiaratamente, mostrandolo al pubblico.
Ciascuno dei 12 bravi attori (Roberto Caccioppoli, Antimo Casertano, Fabrizio Ferracane, Martina Galletta, Ernesto Lama, Daniele Marino, Francesca Piroi, Daniele Russo, Leonardo Antonio Russo, Filippo Scotti, Rosario Tedesco, Isacco Venturini/Andrea Sorrentino) fa emergere le peggiori caratteristiche del proprio personaggio, facendo a gara per la migliore interpretazione.
Così, persino lo stupro di Lavinia viene ammorbidito da questo gioco attoriale, grazie a Tito (Fabrizio Ferracane) che quasi infastidito dalla poca efficienza dei suoi lamenti le urla: “Fallo meglio!”; insomma, sii più credibile! Mentre le gambe vengono cosparse da un finto sangue contenuto in un bidone di pittura.
Oltre a sdrammatizzare i personaggi, il testo li umanizza, mostrandoci tutta la fragilità e le dinamiche relazionali che scaturiscono dal desiderio di vendetta. “Come fanno le persone normali a sopportare senza vendicarsi?” si chiede Tito, che rifiuta la corona in nome di una vita tranquilla, magari in pantofole a leggere un libro o ad ascoltare musica. Una vita che i personaggi che lo circondano non gli permettono di avere. Intorno a lui infatti si agita lo sfaccettato mondo delle debolezze umane: la bramosia, l’abuso di potere, l’ingordigia, la stupidità, la cattiveria. Vano è il tentativo di restarne fuori; alla fine Tito ne verrà assorbito fino a cacciar fuori il peggio di sé, punendo con una orribile “ricetta” la donna che ha generato il dramma.
Sulla scena finale, quando mestoli e posate che ci avevano accolti prendono significato, l’elemento horror raggiunge il suo picco, provocando nel pubblico reazioni di disgusto e angoscia. La scena si compone degli elementi del banchetto, oltre a tubi di plastica che attraversano il palco… tubi in cui, come grosse flebo, scorre il sangue di coloro che diventeranno impasto per dessert.
Un miscuglio di sentimenti contrastanti invade il pubblico, impulsi che non scaturiscono solo da ciò che si vede, ma da ciò che si capisce: l’essere umano può arrivare a compiere azioni di infinita crudeltà. Come si spiegherebbe, d’altronde, l’inumanità che vediamo amplificata nei grandi genocidi sparsi per il mondo? O la violenza di guerre, stupri e delitti? E’ vendetta per odio, per delirio di onnipotenza. Per qualsiasi motivo la violenza venga perpetuata, Shakespeare riesce a mettere a nudo l’animo umano e l’incredibile ma reale bassezza a cui può arrivare.
Insieme a “Tito”, in scena al Bellini ancora oggi e domani, c’è anche un’altra opera di Shakespeare: “Giulio Cesare”, che come “Tito” fa parte del progetto Glob(e)al Shakespeare, coprodotto dal teatro napoletano insieme alla Fondazione Campania dei Festival in occasione del Napoli Teatro Festival 2017.
I due spettacoli, presentati uno di seguito all’altro, condividono oltre che l’impianto scenico anche l’identità e un linguaggio potente e contemporaneo, diventando insieme due riuscite parti di una stessa riflessione sul concetto di potere e sulle sue estreme conseguenze quando male esercitato. Temi quanto mai attuali.
“Giulio Cesare” indaga su un’ancestrale domanda: è giusto uccidere il tiranno se è per il bene dello Stato?
Attraverso le introspettive riflessioni dei congiurati Bruto, Cassio e Casca, il regista Andrea de Rosa affronta in modo politico il testo shakespeariano, riscritto per l’occasione da Fabrizio Sinisi.
In uno spazio scenico essenziale i tre personaggi si alternano in monologhi adirati, come se volessero coinvolgere il pubblico nei meccanismi della mente che li hanno condotti alla congiura, meccanismi che altro non sono che quelli che portano alle guerre.
Anche qui notiamo un tentativo di sdrammatizzare il testo, che sfocia in una sorta di presentazione televisiva condotta da Antonio (Fabio Tedesco). E’ lui ad esporre alla platea i reali protagonisti delle guerre: le armi, passandole in rassegna una ad una – dalla bomba al gas nervino -, sviscerando di ciascuna le proprie “doti”, come fossero protagoniste di un grottesco talent show.
Se in “Tito” avevamo assistito alla destrutturazione dei personaggi, qui assistiamo alla decontestualizzazione degli oggetti, delle armi per l’appunto, comprendendo ancora una volta quanto sia incredibile ma reale la crudeltà dell’essere umano o, sarebbe forse il caso di definirlo, disumano.
TITO/GIULIO CESARE
2 riscritture originali da Shakespeare
ATTO I
Tito
riscrittura Michele Santeramo
con Roberto Caccioppoli, Antimo Casertano, Fabrizio Ferracane, Martina Galletta, Ernesto Lama, Daniele Marino, Francesca Piroi, Daniele Russo, Leonardo Antonio Russo, Filippo Scotti, Rosario Tedesco, Isacco Venturini/Andrea Sorrentino
regia Gabriele Russo
ATTO II
Giulio Cesare
riscrittura Fabrizio Sinisi
con Nicola Ciaffoni, Daniele Russo, Rosario Tedesco, Isacco Venturini, Andrea Sorrentino
regia Andrea De Rosa
scene Francesco Esposito
costumi Chiara Aversano
luci Salvatore Palladino, Gianni Caccia
progetto sonoro Alessio Foglia, G.U.P. Alcaro
produzione Fondazione Campania dei Festival – Teatro Bellini
durata: 2 h più intervallo
Visti a Napoli, Teatro Bellini, il 14 marzo 2019