ToFringe: un’occasione per uscire dal proprio cortile

Torino Fringe Festival 2014|Torino Fringe Festival 2014|Silvia Mai in Raku (photo: Stefano Colace)
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Torino Fringe Festival 2014
Torino Fringe Festival 2014 (photo: Christian Baldin)
Uno degli aspetti più interessanti del Torino Fringe Festival, arrivato al suo secondo e ultimo fine settimana, può essere evidenziato nella varietà dei generi di spettacoli in programma e nell’interazione con gli spazi, una caratteristica che può essere valutata sia come merito che demerito, ma che ha comunque saputo creare interessanti rivisitazioni, in una formula nuova e originale di rappresentazioni che magari avevano già sperimentato una struttura scenica consolidata e in quest’occasione si sono invece messe alla prova in contesti meno “canonici”.

Facciamo riferimento ad esempio al riuscito “Knives in Hens”, una produzione Litta e compagnia Malalingua, ospitato al Teatro Officina del Cecchi Point (un bello spettacolo di cui vi parleremo nello specifico nei prossimi giorni), ma anche a “Raku”, performance di Silvia Mai messa in scena in una stanza pavimentata in legno all’interno di un appartamento vuoto nel centro di Torino.

Silvia Mai in Raku (photo: Stefano Colace)
Silvia Mai in Raku (photo: Stefano Colace)
Finestre oscurate, buio in ‘sala’, una sagoma entra a piedi nudi sui cigolii del parquet tagliando i respiri del pubblico, e silenziando con la sua presenza le tonalità ieratiche di un canto femminile che l’ha preceduta.

Se “all’origine ci sono due domande rispetto all’atto performativo: cos’è lo spazio e cosa cambia lo spazio”, come afferma l’artista nella presentazione del suo progetto, tutto in “Raku” vuole essere rituale e atto, in virtù delle relazioni che il corpo, definito “paesaggio sonoro e fisico”, agisce sul paesaggio sonoro e fisico che lo contiene.
Allora il senso della performance si sviluppa con abilità mimetiche rispetto alla dimensione spaziale con cui interagisce, ora come un fluido che assume la forma del contenitore, ora come un corpo solido a gridare la sua sostanza in antitesi.
Nello spazio del Cap, “Raku” è stato un esempio di teatro da camera, un Kammerspiel dagli influssi orientali, la ricostruzione di una sala per la cerimonia del the a cui peraltro il titolo della performance si richiama.

“Crisi: Istruzioni per l’uso”, della compagnia Onda Larsen, è stato un altro dei debutti nazionali accolti da questo Fringe ed è esploso con genialità e ironia nella saletta del Caffè Des Arts. Un ambiente raccolto ha colorato di toni cabarettistici uno spettacolo paradossale, incentrato sulla legalizzazione delle rapine in banca per prevenire la criminalità delle sempre più diffuse persone disperate a causa della miseria coatta generata dalla crisi economica.
Quando anche il furto s’inserisce nella burocratizzazione del vivere sociale, anche rubare usufruisce il vantaggio di promozioni commerciali sulle armi, corsi di aggiornamento sulla credibilità del proprio essere ladri, moduli da compilare per eventuali danni a cose e persone, generando improbabili sketch.
“Crisi: Istruzione per l’uso” ha avuto un’ottima reazione di pubblico e ha saputo far apprezzare la brillantezza originale del soggetto, ma ha un po’ patito l’organizzazione spaziale, che pur nella semplicità e nell’essenzialità delle scenografie, avrebbe tratto vantaggio da passaggi di scena più puliti o facilitati.

Numerosi anche gli spettacoli di teatro sociale: “Uccidete le madri – I sette peccati capitali: superbia” di Camillo Cuparo (Piccola Bottega delle Arti) in scena al Circo Oltrepo’ (luogo del debutto di “Zelda – Vita e Morte di Zelda Fitgerald” della Piccola Compagnia della Magnolia, di cui vi abbiamo parlato ieri), “Padroni delle nostre vite” di Sciara Progetti di e con Ture Magro, ispirato alla storia vera del testimone di giustizia Pino Masciari e accolto presso lo spazio Cubo alle Officine Corsare, “U Parrinu – La mia storia con padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia” di e con Chistian di Domenico in scena al Cafè del Arts, “Il Matto – Ovvero io non sono stato” di Mercanti di Storie sull’omicidio di Giuseppe Pinelli. Un teatro sociale sviluppato con tagli interpretativi e tecniche tra le più diverse, fra cui l’interessante utilizzo delle tecniche visual fatto da Ture Magro per il rafforzamento espressivo del senso di solitudine del suo monologo di rabbia, laddove la scenografia, realizzata con pannelli su cui proiettare attori virtuali, interlocutori assenti e dall’indifferenza complice, trasmette la commovente desolazione che il testimone di giustizia Masciari ha vissuto in una lotta condotta grazie alle sole sue forze in uno Stato sordomuto.  

Il Cubo ha inoltre accolto due tra gli spettacoli di danza di questo Fringe, “Moon Motel”, della compagnia Twin Tinkers, e “Naveneva” di Naturalis Labor, di cui ci piace sottolineare la bellezza delle musiche originali oltre alla delicatezza di uno spettacolo pensato per ragazzi e decisamente curato.
Aggiungiamo all’elenco “Backwardbill”, danzato da Mayke Van Krutchen e Ivan Ugrin, estratto di “What’s Left” di Liat Waysbort, coreografa di origine israeliana attualmente attiva ad Amsterdam, e messo in scena, fedelmente geometrico e dalle forme dinamiche di corpi incasellati come nei quadri di Mondrian, al Cecchi Point.

Torino Fringe Festival 2014
Il Fringe per le strade di San Salvario (photo: Christian Baldin)
Se dovessimo invece parlare dell’atmosfera e di cosa ha creato in una città come Torino questo festival alla sua seconda edizione, quali tipi di scambi, quale condivisione artistica o semplicemente umana, è realistico, ma sinceramente incentivante, affermare che la strada è ancora lunga, il sentiero deve consolidarsi, perfezionarsi, ma che c’è da augurarsi non possa che migliorare.
Il Torino Fringe Festival si vuole grande per dimensioni e contenuto, e ne ha le potenzialità.
Anche quando magari ingenui e non particolarmente suggestivi, gli spettacoli proposti hanno reso interessante e varia una programmazione che si è saputa raffinare senza scadere nell’autoreferenzialità, elemento che spesso condiziona gli ambienti artistici torinesi.
 
L’incoraggiamento che si vuole dare a tutte le realtà, alle persone che hanno contribuito e creduto a questo Fringe, è allora di crederci ancora.
Adottare un’idea dalla fertile Edimburgo può sembrare una cosa facile, ma far crescere una pianta dalle proprietà benifiche in un terreno non sempre ben arato è tutt’altra cosa. E se il Torino Fringe si basa sulla partecipazione attiva (come volontari, come artisti, come operatori, come pubblico) per il suo buon funzionamento, il suo esistere è un ottimo stimolo a partecipare, ad esserci, a contribuire ad un evento che può unire luoghi, compagnie, tagli artistici diversi, e che non può far che bene per indurre tutti ad uscire dal proprio cortile.
 
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