Totentanz: la danza macabra 2.0 de La Veronal

Marcos Morau _ La Veronal - Totentanz © Lorenza Daverio
Marcos Morau _ La Veronal - Totentanz © Lorenza Daverio

Alla Triennale di Milano video, installazioni e performance per “rivisitare” il tema della morte. Ma il lavoro di Marcos Morau resta nell’al di qua

Morgen ist Die Frage: il domani è la domanda. Con “Totentanz”, la compagnia spagnola La Veronal si accosta al tema della morte e inaugura la stagione 2024/25 della Triennale. Il pluripremiato direttore artistico e coreografo Marcos Morau aggiorna la danza macabra medievale e rinascimentale, facendola dialogare con il presente.

La frase iniziale, in tedesco, è il sottotitolo del lavoro, e riproduce la scritta comparsa in epoca Covid sopra la facciata del Berghain, tempio della scena techno berlinese. L’ambizione di Morau sarebbe di scuotere la nostra epoca che rimuove l’aldilà e al tempo stesso ne resta affascinata e terrorizzata. “Totentanz” vorrebbe celebrare la «fragilità della vita» e «meditare sulla sua perdita di valore», avviando «una seduta spiritica collettiva per interpretare il mistero della morte». Ne nasce un ibrido tra passato e presente che non genera attraversamenti. E, sostanzialmente, lascia indifferenti.

Danza, installazione e video per questa creazione site specific con performer e marionette umane (Ignacio Fizona Camargo, Valentin Goniot, Fabio Calvisi, Lorena Nogal), maschere e pupazzi (di Juan Serrano-Gadget Effectos Especiales e Martí Doy). Spettacolo itinerante negli spazi di Palazzo dell’Arte, costruito nel 1933 su progetto di Giovanni Muzio.

Partenza nell’atrio. Il pubblico è disposto alla rinfusa. Figure impalpabili austere avanzano isolate dalla scalinata. Il loro sguardo è assente, il viso spento. Tonache conventuali bigie. Cinture di proiettili. Figure femminili diafane, abiti bianchi, lunghi capelli canuti. Fascine di legna. A terra, corpi impacchettati. Microfoni, a restituire suoni cacofonici. Campane a morto. Incenso. Una rappresentazione della morte tutto sommato convenzionale.
Seguiamo questi esseri bizzarri in uno spazio via via più tetro. Ne assorbiamo i lampi, gli effetti sonori sordi e stridenti. Echi e sbuffi. Scampanellii. Fragori di vetri franti. Gemiti di un paradiso perduto. Echi di un universo sotterraneo. Ma neanche i suoni di Clara Aguilar creano un vero e proprio attrito artistico.
Intravediamo presenze evanescenti, sagome nere fantasmagoriche. Il paradosso è che siamo noi a inseguire la morte, e non viceversa. La marchiamo stretta. La bracchiamo da vicino e neppure ce ne accorgiamo. E ci pare la cosa più naturale del mondo. Peggio che in “Samarcanda” di Roberto Vecchioni.

Scriveva Dante che siamo vivi «del viver ch’è un correre a la morte» (Purg. XXXIII). Qui siamo nucleo di un corteo lento, che avrebbe l’ambizione di essere doloroso e solenne. È una coreografia di spiriti danzanti, scomposti o discinti, con qualche tratto grottesco. È un susseguirsi di capitomboli. La morte qui ha per lo più aspetto maschile. In tanti Paesi e culture la parola stessa per identificarla è maschile.

Assistiamo alla danza macabra vera e propria in una sorta di oltretomba situato al piano di sopra, con un insieme di neon che compongono una sterminata croce distesa ai nostri piedi. Scorreranno quindi dei video, in diversi modi correlati all’idea del trapasso: immagini di guerra e di prodotti in serie; scene di violenza varia e varia volgarità; inquinamento e consumismo; allevamenti di polli o di bimbi; criminali di Stato come Hitler o Netanyahu; città tra macerie e fuoco; nuove icone del razzismo e della menzogna come Donald Trump.
Ideologia e politica a parte, non incontriamo la morte. Partecipiamo a una celebrazione fredda. È un compianto funebre senza pathos. Non c’è l’idea del rito, e neppure il presupposto antropologico – dissacrante e apotropaico – della danza macabra.
Questo lavoro funziona forse visivamente, ma non tocca emotivamente. Non aiutano le iniziali luci accese davanti alla libreria e ai sofà, in uno spazio novecentesco caotico così refrattario alla morte, così rigorosamente geometrico. Così frigido. Come l’era fascista che lo ha partorito quasi un secolo fa. Quel fascismo guerrafondaio che la morte la sfidava e sbeffeggiava, la sviliva, e poi la elargiva con prodigalità assassina.
Le luci visualizzano il presupposto della danza macabra, ma non sono viatico all’oltretomba. Mirano a trasmettere l’idea che la nera visitatrice è in mezzo a noi, incombente, ingombrante (media vita in morte sumus, nel pieno della vita siamo circondati dalla morte). Ma qui agonizzano prima di tutto le emozioni. Scompare la magia. Stramazza il mistero. E pare così gratuito anche il pianto shock di bimbo in un sacco nero della spazzatura.
Così si rischia di banalizzare. Di scivolare nel trash. E perdiamo il senso globale – ultimo – dell’operazione.

TOTENTANZ Morgen ist die Frage
idea e direzione artistica: Marcos Morau / direzione di produzione: Juanma G. Galindo / coreografie: Marcos Morau in collaborazione con gli interpreti / con: Ignacio Fizona Camargo, Valentin Goniot, Fabio Calvisi, Lorena Nogal / drammaturgia: Roberto Fratini / direzione tecnica e gestione del palcoscenico: David Pascual / progetto sonoro e musiche originali: Clara Aguilar / video design: Marcos Morau, Marc Salicrú, Marina Rodríguez, Albert Pons / design dei costumi e degli spazi: Marcos Morau / produzione e logistica: Cristina Goñi Adot, Àngela Boix / maschere e pupazzi: Juan Serrano – Gadget Effectos Especiales e Martí Doy / una produzione di La Veronal in coproduzione con: Triennale Milano, Teatre LLiure, Temporada Alta – Festival internacional de Catalunya, Girona/Salt, Madrid Festival de Otoño / con il sostegno di: INAEM – Ministerio de Cultura de España e ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya / con il contributo di Regione Lombardia
Prima assoluta

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Triennale Teatro, l’8 ottobre 2024

stars 2.5

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