Tracking Shot: la carrellata cinematografica del Central St. Martins College

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Tracking Shot (photo: Ruchita Madhok)

Stasera niente platea. Solo sei spettatori alla volta, cinti dentro una scatola nera, una piccola stanza-cubo con sei poltrone di legno, come quelle dei vecchi cinema.
C’è una finestra rettangolare nel box che accoglie gli spettatori, laddove, se fosse un cinema, ci sarebbe lo schermo. Non si tratta di uno spettacolo prettamente teatrale, ma di una performance visuale ideata da dodici giovani artisti – designer, scenografi, stilisti e performer di età compresa tra i 22 e i 32 anni – diplomandi del Central St. Martins College of Art & Design, a conclusione del master “Performance Design and Practice”.

Il Central St. Martins College è una delle scuole di arte e design più prestigiose al mondo. Vi hanno studiato talenti di prim’ordine come Lucien Freud, John Galliano, Stephen Jones, Sir Anthony Caro, Ralph Koltai, Eduardo Paolozzi e Mervyn Peake. Anche Gilbert Prousch e George Passmore, ossia i travolgenti Gilbert&George, si sono incontrati lì, tra quei banchi.
“Tracking Shot” è il risultato di due mesi di residenza creativa a Villa Nappi di Polverigi. È il secondo anno consecutivo che la scuola sceglie Inteatro come sede per il periodo di residenza formativa “oltremare” dei suoi studenti.

Torniamo al titolo della performance. “Tracking Shot” è un termine tecnico del linguaggio cinematografico traducibile in “carrellata”, un meccanismo che permette alla macchina da presa di muoversi nello spazio e giocare tra primi piani e profondità di campo senza dover interrompere l’inquadratura.
Non so che aspettarmi da questo spettacolo che a teatro (in una perfomance dal vivo, quindi) dichiara di voler mutuare il cinema e trae ispirazione proprio dall’immaginario cinematografico degli anni ’40. Così mi limito ad eseguire gli ordini: infilo la cuffia in dotazione e vai.
Motore. Partito. Azione.
Laggiù, oltre la finestra-schermo, due attori. Sono lontani, come un campo lungo al cinema. Nello studio di un regista torna una sua attrice, a oltre trent’anni dal loro ultimo film insieme. Lei è una stella, ha lavorato con i più grandi maestri, ma ora è malata e sta morendo.
Non è una visita di cortesia la sua, è tornata da quel regista per un motivo preciso, con una richiesta: che venga cambiato il finale del loro ultimo film, insomma di rimontarlo. Perché?

Il senso dell’intera vicenda, che forse è il senso stesso dell’esistenza, il pubblico lo guadagna poco alla volta grazie al racconto che l’attrice fa della sua vita. Ma le vicende, gli amori sbagliati, le illusioni e le delusioni vengono ripercorse come fosse un film e l’occhio dello spettatore quello della macchina da presa.
Quindi, accompagnato da una sensazione di vertigine, il box-mini-platea si rivela per quello che è, ossia un grande carrello che muove il pubblico e ne guida la visione: dal pertugio rettangolare – ormai divenuto il più cinematografico degli schermi – si snocciola, set dopo set, la vita intera della diva lungo una serie di potentissime citazioni cinematografiche. E lì scorrono davanti ai nostri occhi, riprodotti dal vivo (con l’ausilio di proiezioni video e scene tridimensionali), il mitico bagno nella fontana di Trevi de “La Dolce Vita” di Fellini, il viaggio in auto con Belmondo in “Fino all’ultimo respiro” di Godard, le atmosfere surreali dell’ospedale psichiatrico di “Persona” di Bergman, la spiaggia di “8 e ½” , la passione per Jean-Louis Trintignant in “Il Conformista” di Bertolucci, o la inquietante stanza rossa di Lynch. Passando anche per Fassbinder e Hitchcock, si sviluppa un clamoroso gioco scenico che alterna primi piani e campi lunghi, tracce sonore originali e voce narrante dell’attrice, che funge da trait d’union e ci fa immaginare sia sempre lei Anita Ekberg, Jean Seberg, Stefania Sandrelli, Liv Ullmann, Margit Carstensen… tutte interpretate da performer diverse.

Uno spettacolo originale, capace di restituire le ebbrezze e le suggestioni del teatro e del cinema insieme: tra le prime, la straordinaria fattura artigianale delle soluzioni sceniche e la magia dei set prodigiosamente materializzati davanti a nostri occhi; tra le seconde, la potenza delle inquadrature cinematografiche esperite in uno spettacolo dal vivo. Un fatto non da poco se si considera che, tra gli assiomi chiamati in causa nella fruizione di un lavoro teatrale, c’è l’unicità della visione, che è singola e soggettiva, diversa per ciascun spettatore. Diversamente da quanto accade al cinema, dove il pubblico è obbligato a una visione collettiva e oggettiva, pre-determinata dall’inquadratura voluta dal regista.

TRACKING SHOT
di e con: Dimitrios Bogdanos, Olesya Borisova,
Maria Kelesidi, Nicole Hoesli, Zsofia Kocsmarszki, Lydia Kontogiorgi,
Ruchita Madhok, Duygu Ozturk, Mariza Pagkaki,
 Lela Ramoglou, Martin Schnabl, Barbara Torres Dos Reis
e con la partecipazione di Cecilia Raponi
regia: Pete Brooks
supporto tecnico: Steven Keay
durata: 30’
applausi del pubblico: 17’’

Visto a Polverigi, Teatro della Luna, il 18 maggio 2010

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