Il nuovo progetto “Tragùdia” in scena ancora oggi e domani al Piccolo di Milano
Alessandro Serra, il visionario autore e regista di Teatropersona che seguiamo dai suoi primi passi, ben prima del “Macbettu” che lo ha reso celebre, lo spettacolo immerso nelle atmosfere e nella lingua della Sardegna, patria mai dimenticata del padre, ha intrapreso un percorso originale di teatro totale dal forte immaginario visivo, di cui autoralmente segue regia, scene, luci, suoni e costumi.
Dopo la “Tempesta” scespiriana eccoci ora, nel medesimo solco, davanti al “Canto di Edipo”, spettacolo che fa parte del nuovo progetto “Tragùdia”, ispirato alle opere del tragediografo greco Sofocle: “Edipo re” ed “Edipo a Colono”. La prima di “Edipo” si reputa sia andata in scena fra il 430 e il 420 a.C., mentre “Edipo a Colono” fu rappresentata postuma nel 401 a.C.
Al centro di questa nuova creazione di Serra è l’uso del coro innervato dal canto, da cui emerge la lingua usata dagli attori coinvolti (insieme a Jared McNeill nel ruolo di Edipo, Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Chiara Michelini e Felice Montervino): il grecanico, nella traduzione che dall’originale ne ha fatto Salvino Nucera.
Il grecanico è una lingua in via di estinzione, diffusa nel nostro Paese soprattutto in alcune zone della Calabria e della Puglia, territori di derivazione ellenofona per via di antiche dominazioni e successivi flussi migratori; una lingua particolarissima, impastata da rimembranze sonore greche, che nello spettacolo di Serra si mescola a musica, voci e canti ricreati da Bruno de Franceschi, rendendo lo spettacolo, fin dall’inizio con il profumo d’incenso che si irradia dal palco, un rito di umanissima sostanza, che si trasforma poi, attraverso il gesto e la parola, in danza (Chiara Michelini ha collaborato ai movimenti di scena).
Ad introdurre lo spettacolo è una sorta di angelo dark, la Sfinge, a cui Edipo porge i famosi indovinelli che, risolti, con la conseguente sconfitta della peste, danno inizio agli sviluppi della tragedia che si svolgerà, nella prima parte, a Tebe.
La storia di Edipo parte dal terribile responso dell’oracolo di Delfi: a Laio e Giocasta, sovrani di Tebe, profetizzò che, se avessero avuto un figlio, questi avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Per questo la coppia diede ordine ad un loro servo di uccidere il bambino che avevano partorito. Ma il servo, impietosito, lo consegnò ad un uomo al servizio dei regnanti di Corinto, Polibo, che insieme a Merope lo allevò come un figlio.
La storia poi è nota: sulla strada per Tebe, ad un trivio, Edipo, senza saperlo, uccise il padre Laio, che gli impediva la strada e, in seguito, rispondendo con acume alle domande della Sfinge, diventò re di Tebe.
Quando, poco dopo, la peste si abbatté sulla città, l’oracolo rispose che per debellarla bisognava che la morte di Laio fosse vendicata. Edipo, dopo molti tentennamenti, interrogò l’indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, temendo di proferire la verità, tentò di evitare la risposta e così Edipo sospettò che lo stesso Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto.
Ma la verità piano piano venne fuori, muovendosi come un perfetto meccanismo hitchcockiano, con il conseguente autoaccecamento di Edipo e il suicidio della madre sposa. Edipo poi, come viene raccontato nella seconda tragedia, che placa i suoi toni forti per soffermarsi soprattutto sui temi dell’accoglienza, vagò solitario e misero con le figlie sino ad Atene, maledicendo i figli maschi che lo avevano scacciato da Tebe, e predicendo la loro morte, e lì, nel sobborgo di Colono, presso il bosco dedicato alle Erinni, protetto da Teseo, signore del luogo, a cui predisse un futuro benigno, morì.
Serra avvolge ogni avvenimento in una dimensione sacra e spirituale, che la lingua corale e sconosciuta del grecanico accresce ancora di più, una lingua che si fa pian piano suono indistinto, accompagnando liturgicamente le azioni.
Tre semplici pareti lignee grigie, che le luci cangianti arricchiscono di ulteriori possibilità, avvolgono la scena, capaci, per quella che fa da fondale, di inclinarsi in avanti e, per quelle laterali, di rotarsi in assiale. Vi è anche l’uso espressivo del buio, insistito, dopo l’accecamento del protagonista, con il solo rantolo disperato di Edipo che non ha saputo, al contrario di Tiresia, vedere la verità, e quello finale, dopo la morte dell’eroe che avviene nella penombra, con il suo corpo in controluce, accompagnato da tuoni e lampi. Il buio si interrompe poi in modo fulmineo per mostrare il corpo di Giocasta appeso, come era già accaduto per Lady Macbeth nel “Macbettu”.
Dal coro che accompagna vocalmente e visivamente l’alternarsi dei fatti, a mano a mano escono le altre figure protagoniste: il cieco Tiresia, uomo e donna dalla voce stridula che cammina a fatica, sorretto da bastoni; Antigone, che lo segue come figlia e sorella pietosa; Ismene, messaggera della disfida dei due fratelli; Polinice che giunge inutilmente ad Atene per chiedere perdono al padre, simile a una marionetta infagottata da un grande pastrano che non lo fa camminare; i due servi che consegnano il bambino. C’è poi Teseo, anche lui straniero, che vestito con un kimono e una maschera orientale si esprime con il linguaggio dei segni. Tra di loro si muove spaesato Edipo, che vuole a tutti i costi sapere, accorgendosi poco alla volta come la conoscenza sia fonte di danni per l’uomo, che crede di poter decidere delle sue azioni sapendo tuttavia che sono il caso e il destino a compierle per lui. Ma alla fine, più forte del caso e del destino, viene espressa una parola che è capace di sconfiggere, con la sua luce, tutto quel buio che lo ha invaso: l’amore.
Alessandro Serra riesce a donarci, innervata anche da qualche attimo di consapevole ironia, una storia che ci appartiene da secoli, utilizzando in modo sapiente tutte le armi che il teatro ha la fortuna di possedere, e lo fa anche attraverso questa lingua perduta, misteriosa, che riesce a ricondurci indietro nel tempo verso una forma artistica che è stata la matrice culturale della più grande civiltà umana.
Tragùdia. Il canto di Edipo
liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito
regia, scene, luci, suoni, costumi Alessandro Serra
traduzione in lingua grecanica Salvino Nucera
con Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli,
Jared McNeill, Chiara Michelini, Felice Montervino, voci e canti Bruno de Franceschi
collaborazione ai movimenti di scena Chiara Michelini, collaborazione al suono Gup Alcaro
collaborazione alle luci Stefano Bardelli, collaborazione ai costumi Serena Trevisi Marceddu
direzione tecnica Giorgia Mascia, tecnico del suono Alessandro Orrù, direzione di scena Luca Berettoni
costruzione scena Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loic Francois Hamelin
produzione Sardegna Teatro, Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale,
Fondazione Teatro Due, in collaborazione con Compagnia Teatropersona, I Teatri di Reggio Emilia
distribuzione Sardegna Teatro – Danilo Soddu
Spettacolo in lingua grecanica con sovratitoli in italiano
durata: 1h 20′
Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 29 ottobre 2024