Il ‘tram’ di Cavallini, la disarmante attualità di Williams al Teatro Baretti

Lo sforzo della produzione e di tutte le maestranze è stato notevole per il Teatro Baretti di Torino, che ha ripreso la sua attività, domenica 21 marzo, portando in scena un nuovo spettacolo della stagione 2021 diretta da Rosa Mogliasso.
Il sipario che si alza e gli attori sul palco potevano quasi dare l’idea di un ritorno alla normalità. A mancare però era un elemento di non poco conto: il pubblico. Sta di fatto che “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams è andato in scena in streaming e gratuitamente, sul sito del Cineteatro Baretti e sui suoi canali social, rivisitato con garbo nella versione diretta da Giulio Maria Cavallini.

Ci troviamo di fronte a un grande classico della drammaturgia americana del Novecento, che Williams scrisse a due anni di distanza dal successo de “Lo zoo di vetro”. Un testo che non mancò di suscitare una certa contrarietà nella società perbenista del dopoguerra a causa dei temi trattati: omosessualità, violenza domestica, alcolismo e follia. Tutti argomenti ancora incredibilmente attuali e urgenti, nonostante siano trascorsi quasi ottant’anni da quando lo spettacolo fu prodotto, nel 1947.

Misurarsi con una delle opere più rivoluzionarie della scena moderna, adattata e rappresentata una quantità innumerevole di volte, non sarà stata pertanto una sfida facile. “L’idea di questa regia – ci spiega Giulio Cavallini – nasce da una collaborazione costante e duratura con Olivia Manescalchi e Riccardo Livermore. Si cercava un testo attuale nei contenuti e che potesse far riflettere per la sua forza espressiva. Ho riletto il dramma di Williams e ho pensato che era quello giusto da mettere in scena. L’intenzione è stata quella di puntare i riflettori sul rapporto tra l’autore e la sorella Rose, vittima di una società che l’aveva etichettata come pazza, abbandonandola a un triste destino, e rimarcare quanto il bisogno di affetto e il terrore della solitudine di Blanche (la protagonista) siano tra i sentimenti dominanti nel periodo che stiamo vivendo. Ho deciso quindi di stare nella sua mente, rinchiuderla tra le pareti di una stanza che rappresenta sia la camera da letto in cui è ospitata dalla sorella Stella e da suo marito Stanley Kowalski, sia la cella del manicomio in cui verrà imprigionata. E ho voluto permetterle di essere viva all’interno di questa scatola”.

Il racconto è incentrato sul punto di vista di Blanche Dubois, una donna complessa, confusa, tormentata e alla continua ricerca di un riscatto impossibile in una società giudicante. Che vede sgretolarsi il mondo intorno a lei nonostante i disperati ma inutili tentativi di salvarlo, mentre il suo fragile equilibrio deflagra rovinosamente dopo uno stupro.

In scena Olivia Manescalchi, Riccardo Livermore, Federica Dordei e Marcello Spinetta. Al di fuori dei quattro interpreti, gli altri personaggi diventano voci incorporee e fuori campo: “Questa scelta artistica si lega al fatto che Blanche sente delle voci. Sono quei fantasmi che riecheggiano nella sua testa e che lei cerca di allontanare, spinta dal terrore che il passato possa in qualche modo ripresentarsi. Ho capito che erano importanti per delineare il tormento di Blanche, che volevo fosse circondata, quasi assediata, solo dai protagonisti che determinano la sua disfatta e il precipitare degli eventi. Le voci provengono dallo spazio circostante, claustrofobico, e fanno da eco al suo dramma interiore per sottolineare anche la difficoltà di trovare le persone giuste a cui ricorrere nei momenti meno felici della nostra vita”.

Ci si potrebbe allora chiedere quanto sia stato complicato sacrificare parti del testo, sebbene l’ossessione di Williams per la figura femminile, per i suoi desideri sessuali e per le tante sfaccettature psicologiche si presti molto bene a una rivisitazione dell’opera in chiave contemporanea. “Questo è uno spettacolo puramente di teatro – precisa il regista – e l’ho costruito pensando all’assoluta priorità del pubblico. L’unico elemento tecnologico è l’impianto dolby surround che crea un effetto sonoro immersivo legato alle voci fuori campo. Non l’ho alterato ma ho dovuto tagliare qualcosa, visto che era stato pensato per Broadway, che disponeva di impianti scenografici giganteschi. Cosa impensabile da attuare qui per questioni pratiche. Ho contenuto quindi la durata a due ore e mezza e ho rimosso riferimenti a cose che non si potevano portare in scena per esigenze economiche”.

Restano centrali due temi cari a Williams: la sessualità e la pazzia. Cari per due ragioni autobiografiche ben definite: l’incapacità di far accettare la propria omosessualità alla famiglia e il dolore per la sorella Rose, affetta da ansia e schizofrenia, fatta lobotomizzare dalla madre.

Buoni i risultati dello streaming, con un picco di 200 persone connesse durante la diretta e una media di 140 utenti nei due giorni successivi, in cui lo spettacolo è stato fruibile da chi desiderava vederlo. “La speranza ora è di portarlo al più presto davanti al pubblico in presenza. Questo è l’augurio che faccio a me stesso e a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questo spettacolo”.

Un tram che si chiama desiderio
di Tennessee Williams
regia Giulio Cavallini
con Olivia Manescalchi, Riccardo Livermore, Federica Dordei, Marcello Spinetta
scene e costumi Eleonora De Leo
progetto sonoro Alessio Foglia
assistente alla regia Lidia Margiotta
luci Alberto Giolitti
e con le voci di Maria Grazia Solano, Giancarlo Judica Cordiglia, Marco Imparato, Elena Cascino, Leonardo Filoni
produzione Associazione Baretti

durata: 2h 30’

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