La trilogia dei libri. PoEM e Vacis ripartono dall’Antico Testamento per guardare al futuro

Antico testamento (ph: Paolo Ranzani)
Antico testamento (ph: Paolo Ranzani)

Il debutto, allo Stabile di Torino, della prima parte di un progetto che proseguirà con Vangelo e Corano

Dodici corpi che si spostano sul palco all’unisono, in stupefacente armonia, dall’inizio alla fine dello spettacolo. Si separano e poi si ricongiungono, occupando lo spazio in modi ogni volta nuovi, come sferette di mercurio gettate su un piano, senza mai perdere il filo che unisce gli uni agli altri, un legame fatto di sguardi, respiro, ascolto, forze di attrazione.

Democrito s’era forse figurato qualcosa di simile nel descrivere il principio della conservazione della materia e dell’energia attraverso una costante combinazione di atomi che, nel loro movimento apparentemente caotico, si aggregano assumendo differenti configurazioni.

Non di conservazione ma di creazione ci parla la cultura giudaico-cristiana che, nel bene e nel male, ci definisce. Una creazione che nasce però, anch’essa, dalla separazione: il cielo è separato dalla terra, il buio dalla luce, Eva da Adamo, l’Eden dall’Inferno, il prima e il dopo, e così a seguire.

Dopo aver affrontato il mondo dei Classici con “La trilogia della guerra” (Prometeo, Sette a Tebe e Antigone e i suoi fratelli, i PoEM – Potenziali Evocati Multimediali decidono, accompagnati ancora una volta dal regista torinese Gabriele Vacis, di affrontare i Libri Sacri, a cominciare dall’Antico Testamento, in scena fino al 26 gennaio alle Fonderie Limone di Moncalieri.
Seguiranno il Vangelo nel 2026 e il Corano nel 2027.

Una scelta coraggiosa, se si pensa all’età media degli interpreti, che superano di poco i vent’anni e di certo non arrivano ai trenta. Possono, testi antichi e complessi come la Genesi, l’Esodo, il Levitico e il Deuteronomio, parlare ancora ai giovani di oggi? O meglio non ai giovani, ma dei giovani di oggi. Sì, e lo dimostra il grande lavoro drammaturgico che ne scaturisce e che fonde sostanzialmente tre linee narrative: le storie contenute nelle sacre scritture, alcune storie di cronaca più o meno recente e soprattutto quelle personali delle attrici e degli attori, eventi che si intrecciano e sovrappongono in maniera sorprendentemente fluida ed efficace.

Un disco sopraelevato e rotante al centro del palco, su cui i personaggi salgono e scendono, ci ricorda che nulla è stabile, ma tutto si muove, prima o poi muta e va incontro a una “separazione”, un distacco dalla forma precedente verso una possibile nuova “creazione”. A definire lo spazio scenico sui due lati, quattro divani, null’altro. A riempire lo spazio bastano infatti le attrici e gli attori, vestiti con abiti morbidi dalle delicate sfumature grigio-azzurro carta da zucchero.
Pochissimi sono i momenti in cui compaiono altri oggetti in scena, come quando il disco si popola di aste con coltelli al posto dei microfoni, a evocare le tragedie che si consumano troppo spesso in contesti familiari.

“Dio” e “Famiglia” sono i temi affrontati nelle prime due parti dello spettacolo, che si conclude dopo circa due ore e lunghi applausi, a cui segue una terza parte di poco più di venti minuti, dedicata all’idea di “Patria”, una farsa amara che attinge anche al linguaggio visivo.

Se in “Dio” e in “Famiglia” sono i suoni e i canti meravigliosamente armonici ad emozionare la sala fin dall’inizio, in “Patria” sono le intollerabili immagini dei migranti morti nel deserto e le parole di quelli sopravvissuti al carcere, alle torture e alla traversata del mare a ferire gli occhi e l’animo degli spettatori.

Questo è il mondo visto dalle nuove generazioni – sembrano dirci i PoEM -, un mondo in cui l’assurdo sovrasta sempre più spesso il ragionevole. Ma non eravamo tutti migranti? La torre di Babele, evocata a inizio spettacolo attraverso la recitazione a canone delle parole bibliche in aramaico, greco antico, latino, spagnolo, francese ecc. non è mai stata abbattuta, così come il machismo, il razzismo, il pregiudizio, la paura del diverso, la volontà di dominio sul prossimo e sulla natura.
Quale futuro attende i giovani? Desolante e inquietante l’assenza di prospettive, la denuncia del mancato riconoscimento della propria voce. Il teatro, sì, potrà rappresentare per alcuni una via di salvezza, ma solo se resteranno allerta e continueranno a coltivare la straordinaria qualità di reciproco ascolto dimostrata in questo spettacolo, cosa in cui confidiamo.
Non solo una finzione scenica, dunque, ma l’espressione di un’urgenza vitale e, per il mondo adulto, un invito, non troppo velato, all’assunzione di responsabilità.

LA TRILOGIA DEI LIBRI. ANTICO TESTAMENTO
con (in ordine alfabetico): Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi, Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Kyara Russo, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera
regia Gabriele Vacis
drammaturgia Gabriele Vacis, Lorenzo Tombesi e Compagnia PoEM
scenofonia e ambienti Roberto Tarasco
suono Riccardo Di Gianni
cori Enrica Rebaudo
assistente regia Erica Nava

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con PoEM Impresa Sociale – Potenziali Evocati Multimediali

Durata: 2h 20’
Applausi del pubblico: 4’

Visto a Moncalieri (TO), Fonderie Limone, il 19 gennaio 2025
Prima nazionale

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