Mentre ci si infila tra le curve della provinciale pugliese che sale verso Troia si fa evocativo l’orizzonte di campi seminati a grano, girasoli, ulivi e pale eoliche che tracciano il profilo della Daunia.
C’è un punto, tra quelle curve, nel quale le enormi e dibattute pale dell’energia ‘pulita’ sembrano tutte girare rivolte verso il borgo che, dal 3 al 9 agosto, è stato palcoscenico a cielo aperto del Fèstival Tròia Teàtro, quasi volessero anche loro raccogliere e trasformare l’energia di questa decima edizione, così come il territorio ha saputo fare negli anni.
“Organizzando la prima edizione del festival, undici anni fa, abbiamo aperto non senza difficoltà una porta che è stata varco per noi e per le altre iniziative che, nel tempo, sono poi diventate vita culturale per la città di Troia” conferma il direttore artistico Francesco Ottavio De Santis durante la serata conclusiva, poco prima della consegna del premio Eceplast 2015.
Nato con l’obiettivo di rendere la città un luogo di spettacolo, il festival di Troia dimostra dopo dieci edizioni di essere riuscito a coltivare il valore di una fermentazione lenta, intima, rivolta in primis alla ‘polis’, e allo stesso tempo di aver maturato un’apertura e una consapevolezza di appartenenza alla realtà teatrale tessendo una rete che continua ad amplificarne il valore.
Tra le piazze e i vicoli di Troia hanno contribuito quest’anno a tessere la rete laboratori gratuiti quali “P… Pop… Popolo”, ideato e condotto da Silvia Calderoni e Ilenia Caleo, spettacoli fuori concorso dall’attesissimo Michele Sinisi, che ha tenuto sul palmo della mano del suo istrionico “Amleto” l’intera Piazza S. Croce, a “Senza volontà di cattura, Francesco” di Reggimento Carri, spettacolo tra i vincitori de I Teatri del Sacro del 2015, passando per il primo lavoro della Ballata dei Lenna “La protesta”, teso verso una risposta a questa edizione del festival che invitava a riflettere sul tema del potere, proprio oggi mentre è il potere a sotterrare il teatro, e sulla resistenza ad esso, “mai conclusa e anch’essa in ogni dove”.
Poi i buskers, i laboratori per bambini, i dj set, e l’immersivo rito teatrale “Accabai” di F. pl. femminile plurale, che ha portato l’affanno e il palpitare dell’anima dalla Sardegna nelle cantine di Troia.
Un contenitore pulsante, dunque, che ci ha colpito per la risposta partecipativa, trasversale, della comunità, e per la quantità di giovani energie pugliesi al servizio di un festival con una forte e delineata identità culturale, che oltre gli eventuali bilanci numerici e di diffusione è apparso caratterizzato da un approccio olistico e di condivisione comunitaria. Un contenitore nel quale i sei spettacoli in concorso hanno risposto al bando con modalità espressive distanti tra loro, permettendo a chi il festival lo ha vissuto da spettatore di affacciarsi su differenti linguaggi, in un Palazzo Vescovile che, lontano dai grandi palchi, ha restituito al teatro quella dimensione di incontro con il pubblico contando sulle dita di una mano gli operatori e gli addetti ai lavori.
La quinta edizione del premio Eceplast se l’è aggiudicata la compagnia Equilibrio Dinamico con “Once Upon A Time When Pigs Were Swine” che, con una convincente prova di teatro danza firmata dal coreografo Marco Blazquez, è stata premiata “per la freschezza del linguaggio teatrale approdante a forme originali di messa in scena pur riconoscibili nell’immediatezza dell’intellegibilità. Per la prova complessiva scandita dall’armonia tra segno e significato, tra lavoro coreutico e affinate individualità a dare voce alle dinamiche del silenzio”.
Ha spiccato poi, tra le altre proposte, l’interpretazione e l’autorialità del lavoro – a tratti cinematografico – di Roberto Corradino. Con “Skàuschê” riesce a farsi regista di una Murgia che è pietra, aedo di un racconto sul mercato secolare dei ragazzini condannati a fare i pastori, e cantore di una lingua che si trasforma in filastrocca, in lamento e in memoria collettiva: “Sì mamàunê, e sì pastàurê, sì la skàuschê dê la ggèndê” (Sei stupido e sei pastore, sei un niente per la gente). In uno spettacolo che è ibrido tra la narrazione e la performance, alla ricerca di una sintesi finale, arrivano fortemente riconoscibili il gesto poetico e la parola arcaica perché “quando si muore, si muore in dialetto”.
L’altro grande protagonista del concorso è stato il “Kaligola” della Compagnia degli Scarti; individuata quest’anno come una fra le più interessanti realtà emergenti in Italia dal Ministero per le Attività Culturali, la compagnia spezzina completa la sua “Trilogia del potere” portando con sé poche precise parole di Albert Camus in quel grottesco laboratorio nel quale l’uomo da sempre indaga l’origine del male.
Seconda versione dello spettacolo rivisto e presentato di recente anche al Franco Parenti di Milano in occasione di “Padiglione Teatri”, produzione Pim Spazio Scenico, il “Kaligola” degli Scarti regala al festival una macchina teatrale oliata da talento attorale e registico, anche se in alcuni momenti rischia di risultare ancora nebuloso; sarà perché “la salvezza risiede forse proprio nella purezza e nel rifiuto degli schemi e delle costrizioni”.
In concorso anche gli evocativi archetipi di “Pauraedesiderio” della compagnia Scimmie Nude, “Sürplàs” dello IAC di Matera, quale viaggio nella frustrazione di una generazione in continuo progetto, e il lavoro “Again/By now” di Respirale Teatro/Teatro dei Mignoli sulla grottesca ciclicità della fine.
Il Fèstival Tròia Teàtro ha quindi aggiunto un altro piccolo passo, continuando la sua lenta fermentazione e dandoci l’idea di non essere un evento dai bilanci finali. E’ semmai nella costruzione del tessuto che il teatro riacquista la sua funzione sociale e vive dello scambio tra artista e spettatore. Intanto, mentre la proposta di Troia continua a crescere, il festival lancia un segnale forte: il teatro contemporaneo che oggi vuole vivere può e deve tornare ad essere fatto per il pubblico.