Tutto inizia con una fine: Ilio è stata conquistata dai Greci e ridotta a un cumulo di macerie fumanti. A cingerla restano solo cenere e fiamme, mentre le mura dell’antica città gloriosa si sgretolano a terra. Tutto attorno è statico, concluso, rarefatto. Non c’è più speranza, non c’è più conforto. C’è soltanto il silenzio, rotto dai lamenti e dalle urla di dolore delle donne che attendono di essere vendute come schiave e partire per mare verso territori stranieri, lontani.
L’ultimo progetto dei Motus, compagnia riminese fondata ormai trent’anni fa da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, penetra come una lama rovente nella rilettura personalissima delle “Troiane” di Euripide attraverso le parole di Jean-Paul Sartre e attinge, per la ricerca drammaturgica firmata da Ilenia Caleo, a testi di Ernesto De Martino, Edoardo Viverois de Castro, NoViolet Bulawajo, Donna Haraway e Judith Butler. Un lavoro di ricerca erudito e stratificato con cui il gruppo torna a scavare nella tragedia antica e a confrontarsi con personaggi femminili: Ecuba, Andromaca, Cassandra, Polissena, Elena di Troia. Figure archetipiche, la cui disperazione per il lutto e per la propria sorte avversa risuona come un’eco nel presente per dar voce alle vittime di oggi, a quei migranti ancora senza nome sul fondo del Mediterraneo, tra le montagne o in mezzo ai deserti.
“Porto il lutto per i figli morti in guerra. Per le donne fatte schiave. Per la libertà perduta. Oh amate creature, tornate, venite, venite a prenderci! Piango per Edith, per Saira, Rosa, Mariana, Alejandra, per Rosario, Dora, Conception. Piango per Ayse, Ibrahim, Halil, Alfa Oumar, per Becky, Ganet, Samira, Janet, Fadwua, Fahezeh, Samia. Per Joseph, per Kaled… Piango per N.N., N.N., N.N.”.
Sono le parole che Ecuba pronuncia, quasi soffiate in un anelito invincibile verso la vita, parole che seppelliscono i morti e traducono questo nostro tempo malevolo.
Andato in scena al Teatro Astra di Torino, a conclusione della 26ª edizione del Festival delle Colline Torinesi, “Tutto brucia” non ha trama, non ha intreccio, non ha tessitura, non ha immagini filmiche ma solo corpo, voce e un incessante evocare gli spettri del passato. E in questa prospettiva scenica Silvia Calderoni e Stefania Tansini, che incarnano più ruoli all’interno della messinscena, risultano entrambe esemplari per fantasia, sincronia, agilità e rigore chirurgico dei movimenti.
La prima conferma la sua leggendaria potenza performativa, che miscela con grande cura alla voce affranta, rotta per il lutto; la seconda, attraverso una serie di danze vorticose, interpreta alla perfezione l’inquietudine per un mondo irrimediabilmente perduto.
I loro movimenti geometrici, a tratti convulsi, quasi animaleschi, a tratti flemmatici, restituiscono la vulnerabilità dei corpi, mentre la forza delle parole parafrasa l’incertezza spaventosa di un futuro di schiavitù. Significativa la scena in cui la Tansini, in pieno visibilio, squarcia l’aria con un pesante coltello e un falcetto da contadino, chiaro rimando ai riti collettivi di cordoglio agli scomparsi. Questo quadro di combinazioni sceniche si amalgama alla musica live e al canto in inglese di R.Y.F., pseudonimo di Francesca Morello che, vestita di pelle nera e in piedi sul lato destro del palcoscenico, esegue i suoi brani con la chitarra elettrica. Una presenza punk, discreta ed essenziale, che svolge il ruolo del coro e sorregge con voce ruvida il dramma euripideo delle nobildonne troiane intonando versi dark che danno una risonanza epica al lamento della perdita e al desiderio di riscatto. Proiettata verso la contemporaneità è anche la componente rituale tipica della tragedia, basti pensare ai caschi da mountain bike di foggia animalesca indossati dalla Calderoni che si convertono qui in moderni elmi da combattimento, o le bottigliette di plastica inserite sotto ai piedi che rappresentano i classici coturni.
L’atmosfera è lugubre, sinistra, fosca. Tutto appare scarnificato: il palco, quasi interamente in ombra, è per la maggior parte ricoperto di cenere, di scarti, di polvere e di sacchetti di immondizia ad alludere a una città ormai distrutta per sempre dalle fiamme. Su questo manto grigio si intravedono una serie di sagome, maschere, cadaveri marini e oggetti che la penombra non aiuta a identificare, ma che concorrono ad aumentare il carattere evocativo e opaco dell’intero impianto scenografico. Dall’oscurità però comincia a muoversi qualcosa tra le spire del tendaggio. Ecco allora che emergono le due figure spettrali di Silvia Calderoni (che con i Motus collabora da quindici anni) e Stefania Tansini che si trascinano con un torpore animalesco e, tra rantoli, singhiozzi, gemiti, iniziano il loro racconto di corpi feriti e stuprati. Una narrazione densa di pathos e angoscia, rischiarata a tratti dall’utilizzo delle barre al neon, che diventano lance, spade o torce infuocate, e con cui le due attrici/danzatrici interagiscono con ineccepibile bravura.
Un tempo sospeso, dunque, attraverso il quale le protagoniste, grazie anche al ricorso ad un linguaggio poetico e raffinato, codificano visivamente lo stato d’animo di prigioniere destinate all’esilio. Ed è proprio tramite il dolore che i personaggi nella scena tragica si trasformano per diventare altro da sé. Una catarsi che apre verso altre possibili forme. E scrive il mondo che verrà.
“Ecuba esce – Vuoto.”
TUTTO BRUCIA
ideazione e regia Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande
con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle canzoni e musiche live
testi delle lyrics Ilenia Caleo e R.Y.F. (Francesca Morello)
ricerca drammaturgica Ilenia Caleo
cura dei testi e sottotitoli Daniela Nicolò
traduzioni Marta Lovato
direzione tecnica e luci Simona Gallo
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
design del suono live Enrico Casagrande
fonica Martina Ciavatta
assistenza tecnica Francesco Zanuccoli
props e sculture sceniche _vvxxii
video e grafica Vladimir Bertozzi
produzione Elisa Bartolucci con Francesca Raimondi
organizzazione e logistica Shaila Chenet
promozione e comunicazione Marta Lovato con Francesca Lombardi
ufficio stampa comunicattive.it
distribuzione internazionale Lisa Gilardino
una produzione Motus e Teatro di Roma – Teatro Nazionale con Kunstencentrum Vooruit vzw (BE)
progetto di residenza condiviso da L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale:::Centro di Residenza Emilia-Romagna e Santarcangelo dei Teatri
in collaborazione con AMAT e Comune di Fabriano nell’ambito di “MarcheinVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma” progetto di Mibact e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo
con il sostegno di MiC, Regione Emilia-Romagna
si ringraziano HĒI black fashion, Gruppo IVAS
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Torino, Teatro Astra, il 14 novembre 2021