Gli “Uccellini” di lacasadargilla. Alla ricerca della trasparenza

Uccellini (ph: Claudia Pajewski)
Uccellini (ph: Claudia Pajewski)

Rosalinda Conti firma il testo dello spettacolo della compagnia romana. Lisa Ferlazzo Natoli alla regia insieme ad Alessandro Ferroni

Generosamente, nobilmente, il lavoro successivo rispetto al grande successo arriso a lacasadargilla con “Anatomia di un suicidio” e “Il ministero della solitudine“, freschi incettatori di Ubu, si dà attorno a un testo di un’autrice giovane, per quanto già pienamente attiva, Rosalinda Conti.
“Uccellini”, segnalato al premio “Fabulamundi – Beyond Borders?” e presentato nel 2022 nella rassegna FuturoPresente di Radiorai3 a cura di Antonio Audino e Laura Palmieri, è un dramma che ha dalla sua innanzitutto la dote della chiarezza – che non significa ordine schematico ma, in questo caso, trasparenza. Pare infatti costruito con fluida consapevolezza, costellato com’è di rimandi già a partire dal livello lessicale, come il ricorrere della paronomasia “caso-cosa-casa”, o dalle specularità tra personaggi (la coppia dei gemelli e quella degli amanti), e immerso in una piccola foresta di simboli endogeni, come quello stridente e toccante dei richiami acustici per piccoli uccelli, o della indefinibile presenza-assenza della vita (anche) nei volatili tassidermizzati che occupano lo spazio scenico e la trama. L’uccellino stesso suona simbolo eponimo di una presenza insieme innocua, aerea e incontrollabile.

Tanto nell’affrontare senza le isterie di scene madri una storia familiare dolorosa (due suicidi, distanze siderali tra i suoi membri), quanto nell’evitare il precipizio di un climax esageratamente ripido, di consentire alle scene, come una marea, di crescere l’una sull’altra senza violenza, dandosi l’agio di risacche e temporanei ritorni, “Uccellini” è un testo maturo e (perciò) delicato.

Theo, uno scrittore lambiccato, dolente, solitario, si rifugia nella decrepita casa di famiglia in un bosco, dove in passato viveva la gemella, vitale e curiosa del mondo, poi inaspettatamente suicida.
Giunge in quella casa il terzo fratello, il maggiore, Luka, con la sua nuova compagna, Anna – un fratello, questo, che è tutt’altro dai due, netto, chiuso alle introspezioni troppo ardite, puntato agli obiettivi, amato e stimato nel mondo, terrorizzato dalla vertigine della profondità, verso la quale è stato probabilmente dissuaso in tenera età dalla scena del padre morto suicida, fucile in braccio.

L’incontro fra i tre nella dimora dell’infanzia, abitata dalla presenza/assenza della sorella, è il centro narrativo della storia, e così l’andirivieni tra le pulsioni dell’uno, ora dell’altro, l’ambigua seduzione dello sguardo di un’ospite esterna, Anna, parvenza di vita fresca, inizialmente, quasi spettatrice a noi compagna, ignara – eppure ben presto anch’essa madida di una sua battaglia, di una sua storia.
I due giorni trascorsi insieme, punteggiati da segni misteriosi venuti da un qualche altrove (un orso che appare alla finestra, oggetti che cambiano di posto e appaiono giusto per farsi trovare, segnali dal passato, l’incombere nelle stanze della casa di quegli uccelli impagliati di cui si diceva) si posano sopra una scenografia semplice, nella fattispecie opera di Marco Rossi e illuminata da Omar Scala ma, come sempre per lacasadargilla, dotata di una sua texture e di un suo cromatismo precisi. Un tavolo e una cucina a legna sono immersi, come suggerisce il testo, nell’ombra; il tutto è raccolto e come schermato dietro il diaframma di un velatino a mimare la parete che dà, attraverso una porta-finestra, all’esterno, il proscenio, segno di un limite oltre il quale è possibile sporgersi, se non altro per prendere aria dalla fatica della lotta.

Ora, a suo modo, la casadargilla è un “sistema”, cioè è un ambiente produttivo ma anche linguistico; una famiglia larga di grandi artisti e tecnici affiatati capaci di attente alchimie; ma anche la consapevole traccia di un percorso attraverso la scelta di testi da inscenare con la consapevolezza di possedere una precisa, ancorché ampia, cassetta degli attrezzi. Qui, a giocare su un terreno particolarmente diafano e facile a creparsi, come il testo di Conti, quella famiglia, quegli strumenti sono costretti ad alleggerire, a rendere meno incisivo il loro segno. Si parte dall’ambiente sonoro, anche qui come altrove assai presente, ma disegnato in miniature, pigolii, frulli, urli, zirli, tonfi e frusci di quel bosco in cui la casa è immersa. Così sembrerebbe scemare la presa di un simile collante, altrove solido come un binario – qui le voci sono più spesso nude. E poi, nonostante il tulle quasi in proscenio, esso è utilizzato più come schermo sul quale le evocazioni appaiono – animali notturni, le fronde del bosco – che come supporto per pattern astratti, capaci altrove di caratterizzare l’approccio visivo del lavoro: spesso lo schermo rimane infatti inattivo, una cortina appena percettibile.
Ed è come se, sotto la finissima punteggiatura, la calcolata sottrazione, ogni tanto si mostrasse un vuoto. Ad esempio, questa solida, a suo modo rumorosa, significanza degli strumenti che consentiva, ad esempio in “When the rain stops falling“, alle prestazioni attoriali di tenere alti i propri regimi; venendo qui meno è come se lasciasse scoperti gli interpreti, ora troppo esposti sullo sfondo della trasparenza del testo, ora non abbastanza pazienti per aderirvi nelle sue pieghe più sottili, nei suoi vuoti più piazzanti.
Più di tutti funziona allora la sfuggevolezza di Petra Valentini, che a posteriori viene da ricordare come ambiguità, irresolutezza, assolutamente intonata a un mondo, come quello del testo di Conti, in cui l’esistente e non il non esistente si confondono.
Così, in questa millimetrica imprecisione, in questa affinità non elettiva tra testo e linguaggio di messinscena, rimane l’anima dello spettatore appesa, alla ricerca di un segno netto, fosse pure di una caduta, di una resa (di una o dell’altra parte) a un linguaggio estraneo.

UCCELLINI
di Rosalinda Conti
progetto di lacasadargilla
regia Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni
con Emiliano Masala, Petra Valentini, Francesco Villano
paesaggi sonori e ideazione spazio scenico Alessandro Ferroni
ambienti visivi Maddalena Parise
scene Marco Rossi
luci Omar Scala
costumi Anna Missaglia
suono Pasquale Citera
coordinamento artistico al progetto Alice Palazzi
assistente alla regia Matteo Finamore
assistente scenografa Francesca Sgariboldi
collaborazione alle immagini in ombra Malombra
foto di scena Claudia Pajewski
produzione La Fabbrica dell’Attore/Teatro Vascello
in coproduzione con Romaeuropa Festival, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in collaborazione con AMAT & Comune di Pesaro, lacasadargilla, PAV Fabulamundi Playwriting Europe, RAM – Residenze Artistiche Marchigiane
con il sostegno di ATCL / Spazio Rossellini
in corealizzazione con Teatro Vascello

durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Roma, Teatro Vascello, il 12 ottobre 2024

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