Un ballo in maschera. Fabio Biondi dirige il nuovo allestimento firmato da Daniele Menghini

Un ballo in maschera (ph: Roberto Ricci)
Un ballo in maschera (ph: Roberto Ricci)

L’opera rappresentata a Busseto, paese natale di Giuseppe Verdi, con un cast di giovani

Nell’ambito della 24^ edizione del Festival Verdi dedicato al compositore dal Teatro Regio di Parma, dopo aver visto il “Macbeth” in francese di Pierre Audi, eccoci davanti ad una nuova grande possibilità: essere per la prima volta nel paese natale di Verdi, Busseto, per assistere nel piccolo teatro a lui dedicato a “Un ballo in maschera”, forse il lavoro da noi più gradito dell’amato compositore.
L’opera fu composta su libretto di Antonio Somma, a sua volta tratto da un altro, scritto da Eugène Scribe per Daniel Auber “Gustave III, ou Le Bal masqué”, del 1833.
La prima ebbe luogo il 17 febbraio 1859 al Teatro Apollo di Roma con un esito molto burrascoso, non già per ragioni legate alla sua musica, ma causato da motivi squisitamente politici. Infatti l’opera avrebbe dovuto debuttare al San Carlo di Napoli col titolo “Una vendetta in domino”, ma il soggetto non fu gradito alla censura borbonica, che mal digeriva la vicenda di un marito che uccide il presunto rivale, niente meno che il re di Svezia, e fu considerata di impianto troppo politico. Di conseguenza Verdi fu costretto a spostare l’azione dalla Svezia a una Boston di fine XVII secolo.

Al centro è la storia d’amore travagliata tra il conte Riccardo, governatore della colonia inglese, e Amelia, moglie di Renato, suo segretario ed amico carissimo, mentre è in atto una congiura contro di lui.
Snodo della vicenda è la profezia della maga Ulrica, che predice a Riccardo la morte da parte della prima persona che gli stringerà la mano, che ovviamente è quella del fido Renato. Intanto Amelia e Riccardo si giurano amore eterno in un luogo selvaggio dove lei, per consiglio della profetessa, era giunta per raccogliere un’erba magica per placare i suoi tormenti d’amore ma dove, ahinoi, sopraggiunge anche Renato, che vuole avvertire l’amico dell’arrivo dei congiurati per ucciderlo. Riccardo affida allora a lui l’amante, dopo aver ottenuto il solenne giuramento che l’avrebbe riaccompagnata velata fino alle porte della città. Tuttavia, sopraggiunti i congiurati, che vorrebbero uccidere Renato per sapere chi si cela sotto il velo della misteriosa donna, Amelia, per salvare il marito, lascia cadere il velo davanti al riso di scherno degli astanti. Renato non può che giurare vendetta, che verrà consumata durante un ballo in maschera, nonostante Riccardo abbia dato prima l’ordine del rimpatrio in Inghilterra di Renato ed Amelia.
Riccardo morirà fra la disperazione dei suoi sudditi, dopo aver perdonato di fronte a tutti il suo assassino, e dichiarando nel contempo l’innocenza di Amelia.
Della partita sono anche il paggio Oscar (ruolo affidato a un mezzo soprano) che accompagna sempre Riccardo e i due congiurati Samuel e Tom.

Perché amiamo così tanto quest’opera? Intanto perché la trama è risolta da Somma e Verdi attraverso un incatenarsi di arie e pezzi d’insieme di straordinaria valenza drammatica e musicale.
Momenti di stupefacente inventiva sono rappresentati, ad esempio, dal concertato che culmina con l’ora dell’incontro all’antro della maga (quasi un can can), o dal “È scherzo od è follia” che chiude il primo finale del primo atto, fino al famoso terzetto con la tanto discussa frase, azzeccatissima, “Sento l’orma dei passi spietati”, e al duetto dei due amanti “Qual soave brivido”, oltre alla stupefacente scena del ballo, in cui tutti i personaggi si aggirano mascherati alla ricerca l’uno dell’altro.
E poi, ancora, la meraviglia di tante significative arie che costellano l’opera: quella del paggio che non vorrebbe dire al suo assassinio com’è vestito il conte, ma che poi cade nel tranello tesogli da Renato (“saper vorreste”), quella di Renato tra odio e rimpianto (“Eri tu che macchiavi quell’anima”) e quella stupendamente consolatoria della sua d’entrata: “La vita che t’arride”.
Ovviamene anche Riccardo e Amelia hanno la loro parte: Riccardo si esprime con la commovente “Ah se mi è forza perderti” quando decide di lasciar libera l’amata; Amelia quando chiede al marito di poter rivedere il figlio “Morrò ma prima in grazia”. Insomma non c’è mai un momento di requie alla continua commozione.

Il regista Daniele Menghini conduce lo spettatore in un fantasmagorico gioco teatrale, un grande e divertito girotondo venato di morte, che si manifesta coraggiosamente in un vero e proprio ballo mascherato. È molto gustoso vedere come tutti i giovanissimi interpreti di quest’allestimento partecipino allo spettacolo, stando al gioco confezionato dal regista, divertendosi e facendoci divertire. Questa produzione è infatti composta da debuttanti, molti dei quali allievi o ex allievi dell’Accademia Verdiana, guidati dai musicisti dell’Orchestra Giovanile Italiana.

In questo modo la scena fissa, che il piccolo spazio del palcoscenico di Busseto impone, con la fantasia dello scenografo Davide Signorini si trasforma, attraverso alcune divertenti invenzioni, in tutti i mutevoli ambienti in cui si svolge la trama.
Ecco allora l’iniziale sala del trono di Riccardo, che diviene poco dopo la diroccata dimora di Ulrica, e poi “l’orrido campo” dove Amelia si incontra con Riccardo e ancora la dimora di Renato, per finire come salone delle feste.
Su tutto aleggia tuttavia l’ombra della morte, con l’uso insistito dei teschi, scheletri e angeli simili a pipistrelli, che svolazzano illuminati dall’accorto disegno luci di Gianni Bertoli.
Nika Campisi si diverte a vestire Riccardo e la sua corte dei miracoli con costumi colorati, ponendoli all’interno di quella che sembra una continua festa trasgressiva.
Amelia appare subito con il ruolo prestabilito di madre, Renato e i congiurati non fanno parte di questo mondo, per cui si vestono in modo diverso, eleganti e in smoking. Ma Riccardo alla fine, avendo trasgredito gli schemi della società in cui viveva, ha dovuto per forza essere ucciso, nella obbligata convenzione della sua funzione pubblica, che non poteva permettere ciò. Solo in un momento è vestito in modo acconcio al suo ruolo, quando decide che sia giusto lasciare andare Amelia. Anche lei partecipa al gioco dei travestimenti, lasciandosi truccare di bianco il viso dal suo conte. Bella l’idea di trasformare Ulrica in una veggente cieca, seduta su una sedia.
Tutto è condotto con grande libertà di intenti e di segni, a volte volutamente eccessivi, conditi da un sottile filo di ironia; si acquietino i tradizionalisti: tutto è sempre in perfetto rapporto con la musica.

Il trentaduenne Giovanni Sala, che già conoscevamo come ottimo interprete mozartiano (a gennaio sarà l’imperatore Tito a Montecarlo nella Clemenza del salisburghese) disegna vocalmente e scenicamente un Riccardo gioioso e malinconicamente innamorato; mentre di converso il baritono coreano Hae Kang, esprimendosi con perfetti accenti di cangiante espressività, è un eccellente Renato. Ed eccoci all’altro personaggio centrale del dramma, Amelia, ben sorretta dalla voce e dalla presenza di Ilaria Alida Quilico. Il mezzo soprano coreano Danbi Lee, nei panni di Ulrica, offre giusto spessore al suo personaggio, attraverso una notevole tessitura vocale che ne evoca in modo personale la misteriosa essenza.
Licia Piermatteo, come Oscar, che nel disegno registico è una specie di segretaria tutto fare, conduce egregiamente il suo divertito e divertente personaggio.
Di giusta presenza anche i congiurati di Agostino Subacchi (Samuel) e Lorenzo Barbieri (Tom), bravo anche il Silvano di Giuseppe Todisco, che chiede lumi alla profetessa sul suo futuro.

Il direttore dell’orchestra Fabio Biondi, che conosciamo soprattutto come interprete di opere del repertorio barocco, conduce con giusta misura l’orchestra a ranghi ridotti. Ottimo anche il coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani. Insomma usciamo davvero soddisfatti e felici da questa prima esperienza vissuta nel paese natale dell’amato Verdi.

UN BALLO IN MASCHERA
melodramma in tre atti su libretto di Antonio Somma da Gustave III ou Le balmasqué di Eugène Scribe
Musica GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Ilaria Narici
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano
Riccardo GIOVANNI SALA (27, 12, 18) / DAVIDE
TUSCANO (28, 5) Renato
LODOVICO FILIPPO RAVIZZA (27, 5, 12) / KANG HAE (28, 18) Amelia
CATERINA MARCHESINI (27, 5, 12) / I
LARIA ALIDA QUILICO* (28, 18) Ulrica
DANBI LEE* Oscar
LICIA PIERMATTEO* Silvano
GIUSEPPE TODISCO Samuel
AGOSTINO SUBACCHI* Tom
LORENZO BARBIERI Un giudice /
FRANCESCO CONGIU* Un servo di Amelia
* Allievi e già dell’Accademia Verdiana
Direttore FABIO BIONDI
Regia DANIELE MENGHINI
Scene DAVIDE SIGNORINI
Costumi NIKA CAMPISI
Luci GIANNI BERTOLI
ORCHESTRA GIOVANILE ITALIANA CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
In coproduzione con Teatro Comunale di Bologna, Fondazione Rete Lirica delle Marche
Spettacolo con sopratitoli in italiano e inglese

Durata complessiva 3 ore, compresi due intervalli

Visto a Busseto, Teatro Verdi, il 18 ottobre 2024 

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