Da sempre sento racconti epici sul Fringe Festival: tempi di montaggio e smontaggio al limite dell’umano, internazionali sfide alcoliche concluse al pronto soccorso e spettacoli che nessuno avrebbe il coraggio di presentare se non esistesse il Fringe. Si narra persino di uno spettacolo di animazione tridimensionale realizzato da due peni australiani in grado di mutarsi per magia nel mostro di Loch Ness.
Come potrete immaginare le mie aspettative erano molto alte.
Uno dei racconti preferiti di chi è già stato al Fringe si intitola “Il Flyeraggio” (pronuncia “Flaieraggio”). Il flyeraggio è la pratica di distribuire volantini del proprio spettacolo come se non ci fosse un domani. Con più di 2000 spettacoli in programma diventa fondamentale, per non avere la sala vuota, spararla più grossa degli altri e attirare l’attenzione in tutti i modi possibili. Dimenticatevi quei tristi studentelli fuori sede che volantinano svogliati in corso Buenos Aires per pagarsi un posto letto a Milano. Qui il flyeraggio si eleva al rango di arte.
Ma andiamo con ordine.
Il modo migliore per conoscere – e imparare – la nobile arte del flyeraggio è quello di percorrere il Royal Mile, la principale via storica di Edimburgo che dal castello scende fino a Holyrood, la residenza reale dove la Regina passa meno tempo in assoluto, ovvero 30 minuti all’anno.
Royal Mile in agosto è una bolgia dantesca. Quella degli impresari indebitati, probabilmente. Il 90% delle compagnie presenti paga (tanto) la venue che la ospita e si tiene l’incasso. Il flyeraggio è sopravvivenza e Royal Mile la giungla.
Dal Dance Base (venue che ci ospita) risalgo la scalinata che da Grassmarket porta al costone sud del castello. Mi ritrovo davanti all’ingresso della tribuna allestita per l’Edinburgh Military Tattoo, il festival delle bande militari che ogni anno è sold out. C’è molta gente: qualcuno è in coda al botteghino, altri entrano per visitare il castello. Tanti sono italiani, come sempre.
Inizio la mia discesa agli inferi, 50 metri più in basso un bagarino pakistano cerca di vendermi per 40 pounds un biglietto per il Tattoo. Declino l’offerta. La via è colma di gente, mi avvicino a un negozio attirato dai kilt in vetrina. In 10 metri mi becco tre flyer. Piuttosto banali, in verità. Semplice volantinaggio.
Inizia a piovigginare, ma qui è la normalità; nessuno tira fuori l’ombrello, tutti continuano imperterriti. Cinquanta metri più giù inizia la vera guerra. Un gruppo di maschioni in salopette corta attillata canta a cappella mentre il loro producer, visibilmente nervoso, invita tutti quelli che passano. Un ragazzo pitturato di blu distribuisce flyer crepuscolari, tre ragazze grassocce vestite da cono gelato ammiccano da uno dei palchetti messi a disposizione dalla Fringe Society. Poco più in là, la scena di un delitto: una donna con un coltello nella schiena giace sul pavé mentre quattro comparse annoiate evitano l’inquinamento delle prove con del nastro di plastica. Una ragazza sui vent’anni grida di non perdere questo capolavoro. Mi fermo ad ascoltare per qualche minuto un gruppo folk che suona davanti a una chiesa, bravissimi e visibilmente ubriachi. Mi volto e mi trovo davanti un ragazzo vestito da collegiale inglese. Ha i pantaloni calati alle caviglie… che fai, non glielo prendi il flyer a uno disposto a mettersi in mutande in pieno centro? Una ragazza pubblicizza uno spettacolo di improvvisazione sulle soap opera, un altro mi invita a “La bisbetica domata come non l’avete mai vista”.
Più che in Scozia sembra di essere alla Vucciria di Palermo, solo che al posto degli agnelli e del panino con la milza tutti ti rifilano carta, carta e ancora carta. Di vari colori e formati, ma sempre carta. Probabilmente il Fringe è la principale causa del disboscamento dell’Amazzonia.
Penso ai racconti di Lara, Marcello e Fabio e mi rendo conto che sono un privilegiato: quando nel 2009 Sanpapié era qui per presentare “Boh” anche loro si erano dovuti adeguare a questi massacranti turni di flyeraggio.
Un uomo sui quaranta, barba e capelli lunghi, mi dà un volantino orrendo, con un tizio in trench nero e pistola con silenziatore in mano. Ha la barba e i capelli lunghi. È lui. Una vera produzione a budget zero. Davanti al Fringe Merchandising (La Venue numero 1) c’è una notevole folla: un clown punk si è arrampicato al secondo piano del palazzo aggrappandosi al tubo di scolo della pioggia. Se cade ci rimette le penne, se sopravvive rimedia un bel cappello. Tutti applaudono, lui chiede un obolo da 8 metri di altezza e quando scende – e sopravvive- il suo cappello si riempie. Qua nessuno guarda un artista di strada senza dargli qualcosa.
Arrivo a all’angolo con Cockburn Street con altri dieci flyer in mano (uno di questi non è di uno spettacolo ma di un posto che serve la colazione fino a cena. In effetti, salsiccia, uova e bacon sono una cena di tutto rispetto). Li metto in tasca, a casa li guarderò con calma. Davanti a me il Tron (Venue 252), una chiesa sconsacrata famosa per il Burlesque gratuito tutte le sere alle 9. Magari una sera ci vengo.
Imbocco Cockburn Street e scendo verso la stazione di Waverley. Il mio sguardo cade sulla vetrina di un negozio di magliette. Su una c’è scritto “Put your fu**ing flyer up your a**!”. Domani me la compro. E se torno al Fringe me la metto per flyerare.
Marco Di Stefano (Compagnia Sanpapié)
regista e drammaturgo di “Io Sono Figlio (I Am Son)”
Oggi presentiamo Carolina de la Calle Casanova, regista e drammaturga di “Noi Non Siamo Qui – We are not here”, prodotto da babygang che al Fringe festival presenta per la prima volta in assoluto un suo spettacolo all’estero.
Francesca Selva racconta invece insieme al video-artista Giovanni Mezzedimi l’impatto di “On your honey lipps” con il fringe e la venue Zoo, dove lo spettacolo è in scena dopo aver vinto in concorso “Florence for Fringe”.
Infine Cristian Ceresoli e Silvia Gallerano raccontano il percorso che li ha portati al Fringe con “La Merda – The Shit”, performance che al Summerhall ha riscosso successi di pubblico e critica e si è aggiudicata il Fringe First Award, The Arches Brick Award e il premio come Best Solo Performer.