Un Ritorno al futuro A zonzo per il teatro lombardo

InBalia in A zonzo|Ritorno al futuro
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Ritorno al futuroAvendo da diversi anni accompagnato nel suo vagabondare tra una città e l’altra della Lombardia Luoghi Comuni, il festival che Etre dedica ogni hanno all’attività delle residenze lombarde, ed essendoci immersi di recente con interesse nel festival milanese del teatro indipendente (IT), abbiamo seguito con estrema curiosità anche la prima delle tre giornate di Ritorno al futuro, il festival delle nuove creatività lombarde che Residenza Idra e il Centro Teatrale Bresciano (che ha messo a disposizione tra l’altro anche il rinnovato spazio Teatro Santa Chiara, dedicato con giusto merito a Mina Mezzadri) hanno organizzato con proficua collaborazione a Brescia dal 23 al 25 maggio.

L’iniziativa  è nata dalla necessità di promuovere il lavoro di ricerca di artisti e operatori lombardi, dando loro un’occasione di visibilità e confronto, supportando le giovani compagnie emergenti nella produzione e nella circuitazione di nuove opere, e cercando di migliorarne le capacità promozionali e produttive.

Per questo, durante i tre giorni, sono state mostrati i lavori sia di compagnie selezionate sui territori delle residenze, sia di giovani inoccupati lombardi che hanno vinto il bando “Creative Cast Away”, il progetto costruito in collaborazione con Regione Lombardia di mobilità internazionale per i lavoratori dello spettacolo.


Infine la manifestazione bresciana ha presentato anche i 20 minuti dei tre progetti selezionati per il Premio delle arti “Lidia Petroni”, che ha dato negli anni la possibilità a molte compagnie giovani di emergere e ricevere un supporto non solo economico ma anche di visibilità: Urteatro con “Spettri”, Eunemesi con “Melancholia” e Bottega Roseguild, vincitrice del Premio con “Three wishes, tre desideri”.

Nella serata iniziale abbiamo avuto la curiosità e il piacere di vedere, oltre che al primo progetto in competizione, due spettacoli prodotti da giovani gruppi lombardi assai diversi tra loro: “A zonzo”  della compagnia InBalia, che ha vinto l’anno scorso il Petroni, e “Un giorno torneranno” dell’Accademia dei Lunanzi .

InBalia in A zonzo
InBalia in A zonzo
In “A Zonzo”, Marco Cacciola, Michelangelo Dalisi e Francesco Villano sono Enrico, Emilio e Lorenzo, tre uomini in fuga, ognuno in maniera diversa, alla ricerca di sé stessi, in un mondo in pericolo appena invaso dagli alieni, dove si incontrano nel tentativo di raggiungere un non meglio decifrato centro di accoglienza.

Enrico, giunto in quel luogo dopo essere scappato da una montagna, è posseduto da crisi mistiche che lo fanno sembrare un prete; Lorenzo si è perso e cercato nelle canzoni che cantava e nel corpo della sua fidanzata ormai perduta; Emilio ha cercato invece nella scienza la sua àncora di salvezza e, armato di pillole e pasticche, le somministra beatamente ai suoi compagni di avventura.

Tutti fuggono da qualcosa che non conoscono, muniti di un’amaca che a turno usano faticosamente per riposarsi e di un tappeto che indica loro un cammino assai incerto.

Si ride di gusto in “A zonzo” (esilarante la scena, memore del cinema di Stanlio e Ollio e dei Fratelli Marx, del fuoco che si accende e non si accende, a seconda di chi dei tre vuole attizzarlo) attraverso un’ironia caustica, spesso surreale, corredata da canti e non sense, inframmezzata anche da lampi di poesia, subito repressa, che nel suo altalenante fluire, ci vuole indicare lo sgretolamento di tutte le certezze che una generazione, quella dei tre protagonisti, che ha cercato illusoriamente di costruirsi.

Forse troppi i finali presentati, in cui si adombra che sono proprio gli stessi nostri eroi i veri alieni, nemici di loro stessi, alla fine però in grado, forse, di trovare un approdo più sicuro, anche se molto precario alle loro peregrinazioni.
Il gioco è comunque condotto bene, con garbo e con il giusto ritmo da Cacciola, Dalisi e Villano, che divertono con intelligenza il pubblico durante tutto il loro sgangherato cammino.  

Il secondo spettacolo a cui abbiamo assistito è “Un giorno torneranno”, quattro sproloqui aspettando che qualcosa cambi, su un testo di Chiara Boscaro, giovane promettente drammaturga di cui abbiamo già apprezzato alcuni lavori; in scena una davvero brava Silvia Pernarella per la regia di Marcela Serli, regista che in seno all’Atir conduce un percorso molto interessante di teatro a tematica sociale.

“Un giorno torneranno” sono quattro monologhi concatenati tra loro dedicati ad altrettante donne: nonna, madre, figlia, nipote, che ripercorrono con il loro ostinato coraggio tutto il secolo scorso fino ad oggi.

Lucia, forte donna del Sud, è vissuta in un mondo che credeva ancora alle streghe, e lei da strega  sapeva individuare i mali e curarli, aiutando anche le donne ad abortire; Stella, muta per scelta, è stata partigiana, vivendo dal di dentro, come oscura ma necessaria protagonista, la riconquista della libertà per il suo paese. Mur è invece una sessantottina tutta sesso, droga e rock n’ roll, che ha poi fondato una cooperativa di mutuo soccorso; infine Italia vive oggi, da precaria ma cittadina consapevole, in un Paese che non guarda mai avanti.

Sono donne che parlano di coraggio, di assunzione di responsabilità, di intraprendenza femminile, che hanno vissuto e vivono le illusioni e le speranze di un Paese in profonda trasformazione.

Silvia Pernarella, vestendo con foga e passione i panni di tutte e quattro, dialoga direttamente con il pubblico, coadiuvata da un servo di scena, anche lei al femminile, che funge all’occorrenza da pensiero, cercando anche di frenare, significativamente, i suoi frequenti “straripamenti”.
Sono confessioni che non scadono quasi mai nella retorica, testimoni di una coscienza critica, tutta al femminile, che troppo spesso il nostro Paese ha voluto sacrificare.

Una serata ricca di molti stimoli, insomma, che ancora una volta  ci ha confermato la  prorompente vitalità della giovane scena lombarda contemporanea, che invece di piangere su se stessa si muove in ogni direzione per affermare che il teatro, in tempo di crisi, non è morto ma ha ancora molte di cose da dire.  
 

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