Una riga nera al piano di sopra. Il nuovo esordio di Matilde Vigna

Photo: Mario Zanaria
Photo: Mario Zanaria

In scena a Modena fino al 10 aprile, un monologo sullo sradicamento volontario e involontario

E’ una delle ultime produzioni Ert, “Una riga nera al piano di sopra”, e segna il debutto come autrice e come regista di Matilde Vigna, attrice veneta che negli ultimi anni si è fatta notare con ben due Premi Ubu.

Questo “monologo per alluvioni al contrario”, che si avvale della collaborazione della dramaturg Greta Cappelletti, ci racconta la storia di due donne molto diverse e distanti tra loro, entrambe aggrappate a qualcosa di vitale importanza. La prima, avvinghiata ad un albero, lotta tenacemente per la propria sopravvivenza; la seconda invece fugge, scappa, attaccata a una valigia. Una appartiene al passato, l’altra al presente, eppure qualcosa di molto intimo le accomuna: il dover fare i conti con una perdita che entrambe hanno subito, sebbene in epoche e contesti differenti.

La prima storia è ambientata nel 1951, lo stesso anno in cui uscì la canzone “Grazie dei fiori”, in cui venne istituita la dichiarazione dei redditi e la Ferrari vinse il Gran Premio in Gran Bretagna. Quell’anno, nella pianura Padana, piovve ininterrottamente per 40 giorni. Le conseguenze furono disastrose. Gli argini saltarono, il fiume Po si trasformò in un mostro impetuoso. Nulla poterono gli interventi delle forze dell’ordine per cercare di tamponare la situazione. La forza irruente dell’acqua spazzò via quel che incontrava lungo il suo cammino. Bisognava scappare, cercare di salvare il salvabile. La gente saliva sui tetti. Quella donna si aggrappò ad un albero e vi rimase per giorni, nuda, nella speranza di riuscire a sopravvivere.

La seconda storia, ambientata ai giorni nostri, a distanza di settant’anni, vede come protagonista una donna adulta, l’attrice stessa, originaria del basso Veneto, che per lavoro ha dovuto lasciare la propria amata terra, coi suoi sapori di polenta e pan biscottato. È carina, dolce, simpatica e un po’ goffa. Ma niente sembra andarle bene, ogni problema, ogni piccola avversità della vita quotidiana pare una alluvione, che di notte la fa sobbalzare all’improvviso. Ora è alle prese con l’ennesimo fallimento sentimentale. Deve fare una valigia, quella dell’addio. Lì dentro deve farci entrare tutto quel che possiede. Deve salire su un treno, cercare una strada per ricominciare, ancora una volta, tutto da capo. Ma piove.

In un unico spazio vuoto, queste due storie corrono parallele. S’alternano su e giù da una panca, s’intrecciano, si danno appuntamento, senza mai realmente incontrarsi. Le loro voci sono estremamente diverse, sia per timbro che per tono. La prima è la tipica voce narrante del teatro civile, accorata ed assertiva, carica del dramma che testimonia: l’alluvione che travolse il Polesine nel ‘51, provocando la morte di un centinaio di persone e duecentomila sfollati. L’eco di questa voce, avvolta nella nebbia, nella penombra, nell’atmosfera sonora (realizzata da Alessio Foglia) ci porta a rivivere quei tragici eventi in maniera vivida ed intensa. La seconda voce, invece, che si rivela in piena luce, si rivolge direttamente al pubblico con tono amicale, frivolo e leggero. A tratti si fa sarcastica, assume delle sfumature caricaturali. Questa donna contemporanea ci racconta la normalità di una vita comune in maniera pungente, quasi a voler denunciare il vuoto esistenziale delle nuove generazioni di trentenni.

Lo scarto tra le due figure femminili crea una sorta di spaesamento nello spettatore. Interessante, promettente. Il pubblico non sa dove ciò lo porterà, ma si lascia condurre dalla bravura dell’attrice che salta, scivola, slitta da una storia all’altra, da uno stile recitativo all’altro. Tragedia di una catastrofe naturale vs commedia sentimentale. Cronaca serrata vs comicità ammiccante. Uno strano contrappunto.

L’accostamento di queste due storie così diverse tra loro ha un certo potenziale: passato e presente entrano in dialogo, s’interrogano vicendevolmente, facendo trasparire elementi comuni e discordanti tra le due protagoniste.

Con l’avanzare della storia, la narrazione civile cresce d’intensità, preparando lo spettatore a un maggiore coinvolgimento emotivo, che forse però non trova abbastanza spazio. Al contempo gli inserti comici, sempre più lunghi, perdono di ritmo ed autoironia; la drammaturgia si va diluendo, e lascia in parte allo spettatore una sensazione d’incompiutezza.
In scena al Teatro Tempio di Modena fino al 10 aprile.

Una riga nera al piano di sopra – un monologo per alluvioni al contrario
Di e con Matilde Vigna
Dramaturg Greta Cappelletti
Progetto sonoro Alessio Foglia
Disegno Luci Alice Colla
Costumi Lucia Menegazzo
Aiuto alla regia Anna Zanetti
Voce registrata Marco Sgarbi
Direttore Tecnico Massimo Gianaroli
Fonico Manuela Alabastro
Elettricista Sergio Taddei
Scenografa decoratrice Ludovica Sitti
Foto di scena e ritratti Mario Zanaria
Produzione Ert/ Teatro Nazionale

Visto a Bologna, Teatro delle Moline, il 25 marzo 2022

0 replies on “Una riga nera al piano di sopra. Il nuovo esordio di Matilde Vigna”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *