UniVerse: A Dark Crystal Odyssey di Wayne McGregor. Se la Terra si ribella all’uomo

UniVerse: A Dark Crystal Odyssey
UniVerse: A Dark Crystal Odyssey

In Triennale per FOG, il fantasmagorico cosmo multidimensionale ispirato a Jim Henson

Una tecnologia immersiva avanguardistica incontra la coreografia umana. “UniVerse: A Dark Crystal Odyssey” è una fantasmagorica meditazione sui cambiamenti climatici e un inno contemporaneo alla responsabilità. Eseguito dai danzatori della britannica Wayne McGregor Company, “UniVerse” è un mito ecologico futurista che invita l’umanità a compattarsi per ripristinare una condotta funzionale alla propria sopravvivenza.
Ispirato al film cult di Jim Henson “The Dark Crystal” (1982) su un pianeta malato e una umanità divisa, “UniVerse” è uno spettacolo fantascientifico che evoca una Terra bersagliata da eventi estremi, disperatamente bisognosa di guarigione. Wayne McGregor, coreografo e regista inglese, è apprezzato soprattutto per le innovazioni pionieristiche nella performance che hanno ridefinito la danza contemporanea.

In Triennale a Milano per il festival FOG, set digitali mozzafiato e costumi all’avanguardia creano una straordinaria fusione tra fantasy e documentario. La coreografia dialoga con le immagini ed evoca l’inseparabile nesso tra umanità e natura.
“The Dark Crystal” di Jim Henson era un film cupamente fantastico con sfumature ecologiche. Rappresentava una Terra lacerata, urgentemente bisognosa di guarigione.

“UniVerse: A Dark Crystal Odyssey” reinventa l’avventura epica e il mondo inquietante di Henson nel contesto del nostro pianeta sofferente, esplorando i temi della natura, dello sfruttamento, del coraggio e del salvataggio. È un invito a compattarci, per ripristinare l’equilibrio primigenio. I bravi danzatori della compagnia (Winnie Asawakanjanakit, Rebecca Bassett-Graham, Naia Bautista, Jordan James Bridge, Salvatore De Simone, Chia-Yu Hsu, Hannah Joseph, Jasiah Marshall, Salomé Pressac, Mariano Zamora Gonzalez) danno forma a un mito attuale intergenerazionale.
Il team di creativi guidato da Wayne McGregor, comprende gli artisti Henson Brian e Wendy Froud, nonché il compositore Joel Cadbury, il design digitale di Ravi Deepres e il lighting design di Lucy Carter. Notevoli anche i contributi della drammaturga Uzma Hameed, del costumista Philip Delamore e dell’artista del volto e del corpo Alex Box.

Rispetto a Jim Henson, McGregor vira decisamente verso un universo visionario. Niente pupazzi stravaganti, e nessuna demarcazione manichea. I danzatori incarnano gli elementi naturali: l’acqua, l’oceano infinito (con le sue creature misteriose), gli abissi e la superficie da cui trapelano timidi raggi solari, corpi fluenti, moti serpeggianti. Bocche distorte in urla silenziose. La terra è rappresentata da sassi e megaliti, da erbe e radici che si attorcigliano fino a contaminare le tute dei performer. L’aria è nello spazio, con bulbi oculari fissi che interagiscono con immagini celesti. Un occhio incontra una sfera gassosa, ed evoca l’aspetto del pianeta Giove. C’è il fuoco: i danzatori indossano maniche di pizzo simili ad ali, impazzano attraverso una foresta bruciata e nera, deragliano sotto una sfera incandescente.
C’è un cenno al film, la dea della natura Aughra, una sorta di Grande Madre arcigna. È un mondo surrealista, che ci assorbe negli abissi del mare, che ci catapulta in scenari stellari, nelle orbite di un universo in espansione, attraversando megaliti, risucchiati dentro spirali e fluidi, sprofondando dentro una natura nivea o incendiaria.

L’artista musicale Isaiah Hull elenca i mali del mondo attraverso una voce fuori campo, e indica il prezzo da pagare. Il regista Ravi Deepres non risparmia lo sguardo sulla nostra cattiva coscienza con immagini grandiose e inquietanti: la foto in combustione di una piattaforma petrolifera in fiamme; un uccello mummificato su una spiaggia lentamente inghiottito da una spessa chiazza nera. E poi varie soluzioni mai troppo didascaliche, come il palco e l’intero teatro trasformati in una camera a gas, con esalazioni multidirezionali che esondano sulle nostre teste.
Risucchiato dall’avvolgente colonna sonora ambient di Joel Cadbury, vibrante di note tormentate e marziali, “UniVerse” pare implodere in un tempo sospeso, come gli orologi molli e gli occhi fuori dalle orbite di Dalì.
Il lavoro è una meditazione cupa e potente. È creazione inafferrabile che coniuga realismo e ardite invenzioni lisergiche. È uno spettro multimediale e sinestetico, che rapisce con le immagini surreali, con l’uso notturno o impressionistico delle luci, con coreografie plastiche, spigolose, vellutate, con costumi chimerici e la dilatazione delle musiche elettroniche, metalliche, cacofoniche armoniche, non prive di riferimenti lirici.
“UniVerse” è caos rigeneratore. È visione satellitare. È soggettiva su un mondo perduto. È turbinio viscerale spiritualizzato. È immersione negli abissi. È rune, spore, cicloni tellurici e vortici cosmici. È osmosi tra realtà e fantasia. È un esperimento su come parlare di crisi ambientale usando pochissime parole. Lavorando sui sensi piuttosto che sulla narrazione. Offrendo un’immagine eroica della natura. Lasciando un piccolo pertugio alla speranza.

UniVerse: A Dark Crystal Odyssey
regia e coreografia: Wayne McGregor
musica: Joel Cadbury
film design: Ravi Deepres
illuminazione: Lucy Carter
costumi e copricapi: Philip Delamore, Dr. Alex Box
spoken word: Isaiah Hull
drammaturgia: Uzma Hameed con un ringraziamento speciale a: Brian e Wendy Froud
danzatori: Winnie Asawakanjanakit, Rebecca Bassett-Graham, Naia Bautista, Jordan James Bridge, Salvatore De Simone, Chia-Yu Hsu, Hannah Joseph, Jasiah Marshall, Salomé Pressac, Mariano Zamora Gonzalez / una coproduzione tra: Studio Wayne McGregor e il Royal Ballet in collaborazione con The Jim Henson Company

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Triennale Teatro, il 17 febbraio 2024

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