L’uomo dal fiore in bocca: l’inno alla vita di Lombardi/Latini

Roberto Latini e Sandro Lombardi
Roberto Latini e Sandro Lombardi
Roberto Latini e Sandro Lombardi (photo: pergola.firenze.it)

Il pirandelliano “L’uomo dal fiore in bocca” ha da poco aperto a Firenze Estate al Bargello, una manifestazione che porta un ricco calendario di eventi di teatro, danza e musica nel cortile del Museo Nazionale del Bargello. Un’ambientazione di non poco conto dunque, in un edificio che risale al 1255. Questo palazzo medievale è stato nei secoli sede di potere, polizia e tortura e ora è riservato alla grande arte. Le luci e gli effetti scenici, come anche la scenografia al centro, non fanno che accrescere il fascino di un luogo già di per sé tanto prestigioso e affascinante.

Ma veniamo allo spettacolo. Un allestimento scenico semplice eppure di grande impatto visivo, costruito intorno all’antico pozzo ottagonale all’interno del cortile. Sopra il pozzo, un’altalena ricoperta di piume. Tutto intorno dei cancelli seguono la forma ottagonale del pozzo. Una gabbia.
Come quella per gli uccellini.

Ed ecco che arrivano  i nostri due protagonisti, l’uomo dal fiore in bocca, il malato terminale affetto da epitelioma, e il pacifico avventore, impersonati da Sandro Lombardi e Roberto Latini (che firma anche la regia). Sono vestiti da clown, con scarpe grandissime, frac, pesante trucco sul volto e un cappello dal quale escono piume. Come tutti i clown, dietro trucco e abiti buffi tradiscono un umore triste, amaro.

I due personaggi entrano ed escono dall’ottagono, ci corrono intorno, si dondolano sull’altalena, marciano al suono di una tromba che ricorda la ballata di un circo stanco, spento. Si muovono e parlano, ora scattanti, ora tristi e rassegnati, seguendo una personalissima cadenza, in un incedere che rispecchia le differenti personalità di due attori di diversa formazione e generazione. Lombardi è lieve, leggero e svagato; la sua aria malinconica lascia intravedere e percepire l’amara consapevolezza del proprio destino. L’avventore (Latini) gioca invece sui toni alti, sui suoni squillanti della parola, su una voce nasale e un aspetto e delle movenze che fanno molto “Arancia Meccanica”.

Il noto testo pirandelliano indaga sul mistero della vita e della morte. La storia è conosciuta: due uomini si incontrano in un caffè notturno della stazione e parlano. Uno dei due è destinato a morire presto, lo confida all’altro, sempre indaffarato e affaccendato tra spese e commissioni per la moglie e le figlie in villeggiatura: “Venga… le faccio vedere una cosa… Guardi, qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: epitelioma, si chiama. Pronunzi, sentirà che dolcezza: epitelioma… La morte, capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!”.

L’uomo dal fiore in bocca ha sulle labbra un tumore che gli succhia la vita ed è intrappolato in un destino che non può evitare; e ora tutti i particolari più piccoli, le cose più insignificanti agli occhi altrui assumono un valore diverso. Come il sapore delle albicocche, che vanno gustate aprendole in due e succhiandone l’interno come due labbra dolci. Perché “L’Uomo dal fiore in bocca” è sì forse un’opera triste, malinconica o dolorosa, uno spettacolo che turba l’equilibrio della mia accompagnatrice ipocondriaca (che l’indomani fisserà un nuovo appuntamento con il dermatologo), ma è anche, anzi soprattutto, un inno alla vita.

L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA
di: Luigi Pirandello
con: Sandro Lombardi e Roberto Latini
adattamento e drammaturgia: Sandro Lombardi
spazio scenico e regia: Roberto Latini
costumi: Marion D’Amburgo
luci: Gianni Pollini
musiche originali: Gianluca Misiti
realizzazione scena: Luca Baldini
durata: 51’
applausi del pubblico: 4’ 30’’

Visto a Firenze, Museo Nazionale del Bargello, il 6 giugno 2010

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