Le Urla silenziose di Tedacà nell’incomunicabilità del mondo

Urla silenziose (ph: Emanuele Basile)
Urla silenziose (ph: Emanuele Basile)

Il debutto al Festival delle Colline Torinesi. In scena Diana Anselmo e Diana Bejan, entrambe sordi segnanti 

Il Festival delle Colline Torinesi, giunto alla sua ventottesima edizione e in corso ancora fino al 4 novembre, conferma la sua vocazione originaria, ossia quella di scommettere coraggiosamente su progetti che si distinguono per lo sguardo contemporaneo, l’urgenza dei contenuti e la ricerca estetica.
Ne è la prova la scelta di inserire nella programmazione “Urla silenziose”, nuova produzione di Tedacà, in scena al Teatro Bellarte di Torino. Un’esperienza a tratti straniante per il pubblico, e soprattutto una chiamata alla responsabilità civile su un tema che sfiora i più, e troppo spesso lede i pochi che ne sono personalmente coinvolti.

Quanto la nostra società è realisticamente accessibile alla comunità dei sordi?
Indubbiamente, negli ultimi settant’anni, sono stati compiuti molti passi avanti in termini di tutela giuridica, eppure leggi e norme faticano a trovare un’adeguata applicazione. Estenuanti sedute di logopedia e impianti cocleari sono la risposta giusta ai bisogni dei sordi?
La LIS, la lingua dei segni, a lungo osteggiata – come se accettare di comunicare in altro modo fosse segno di fallimento – è oggi sufficientemente conosciuta, diffusa e praticata? L’approccio medico è l’unica strada percorribile?

Valentina Aicardi, regista di “Urla silenziose”, ha scelto di indagare queste questioni alcuni mesi fa, attraverso un percorso laboratoriale aperto a udenti e non udenti. Per sua stessa ammissione, lavorando a stretto contatto con i sordi, le sue ipotesi iniziali sulla restituzione scenica sono cambiate in corso d’opera, così che “Urla silenziose” riflette in buona sostanza le istanze e le esperienze delle due giovani interpreti, Diana Anselmo e Diana Bejan, entrambe sordi segnanti.

Il pubblico udente, immerso per la prima parte dello spettacolo in una situazione di assoluto silenzio, fatta eccezione per qualche isolato ed estemporaneo rumore proveniente dalla sala, vive una forma di disorientamento. Fruire della sola percezione visiva, spogliata di ogni suono, genera sentimenti contrastanti in chi non vi è abituato, interpretarla richiede poi uno sforzo e un’attenzione indubbiamente maggiore.
La scelta registica è quella di attingere a più linguaggi teatrali che si inseguono, talora si sovrappongono, in quello che appare un tentativo di sopperire alla mancanza di suono e di voce.

L’esordio attinge al teatro d’ombre, seguono momenti in cui il testo è proiettato, altri in cui la drammaturgia è affidata al teatro d’oggetti oppure a coreografie danzate. A tutto questo si aggiunge infine e soprattutto il ricorso alla lingua dei segni.
Più o meno a metà dello spettacolo, rotta la quarta parete, si assiste al coinvolgimento diretto del pubblico, chiamato ad apprenderne i primi rudimenti. Si ha l’impressione di assistere a una successione di quadri in cui lo sviluppo narrativo perde progressivamente di forza. Le due interpreti ci comunicano frammenti del loro sentire, facendosi portavoce della comunità di sordi di ieri e di oggi. Veniamo così a scoprire che nascere sordi in una famiglia di sordi è profondamente diverso dal nascere sordi in una famiglia di udenti; che troppo spesso i docenti e le docenti di sostegno non conoscono la lingua dei segni; che nei processi le testimonianze dei sordi non sono ritenute attendibili, e addirittura che il 118 non è un servizio abilitato ad accogliere una richiesta d’emergenza proveniente da un sordo.

In scena, manichini in legno da disegno e manichini sartoriali rappresentano gli interlocutori, con cui le due ragazze cercano faticosamente una relazione: la madre accogliente, la madre respingente, la maestra, l’insegnante di sostegno, gli altri. Un tappeto sonoro, a tratti disturbante, forse volutamente tale, accompagna l’ultima parte dello spettacolo, che si conclude con alcuni applausi istintivi misti a tante mani sollevate in aria e roteanti insieme a mani portate e allontanate dal mento, per ringraziare.

“Urla silenziose” affronta un tema di grande rilevanza civile e, per questa ragione, merita dare seguito al lavoro di ricerca e sperimentazione che ha condotto alla sua restituzione scenica, complessa ma necessaria. Lo si percepisce, infatti, non tanto come uno spettacolo concluso, ma come un processo in fieri aperto anche a nuovi potenziali sviluppi e disegni drammaturgici.

URLA SILENZIOSE
regia: Valentina Aicardi
con: Diana Anselmo e Diana Bejan
supervisione: Simone Schinocca
assistente alla regia: Simone Schinocca
consulenza alla drammaturgia: Costanza Maria Frola
consulenza coreografica: Giulia Guida – Bqb
consulenza accessibilità: Diana Anselmo – Al.Di.Qua.Artists – ALternative DIsability QUAlity Artists
scenografia e light design: Sara Brigatti, Yasmine Ines Pochat, Florinda Lombardi
musica: saudadesaudade
produzione: Tedacà
in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi, TPE – Teatro Piemonte Europa
con il sostegno di Ministero della Cultura e della Regione Piemonte

Applausi del pubblico: 1’

Visto a Torino, Teatro Bellarte, il 22 ottobre 2023

stars 2.5

0 replies on “Le Urla silenziose di Tedacà nell’incomunicabilità del mondo”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *