Verso Medea. La tragedia di Emma Dante scalcia nella pancia

Verso Medea
Verso Medea

“Su, sciagurata mano mia, la spada,
stringi la spada, e muovi a questo truce
termin di vita, non esser codarda,
né dei figli pensar che d’ogni cosa
ti son piú cari, e che li desti a luce.
Questo sol giorno i figli tuoi dimentica,
e poscia piangi. Anche se tu li uccidi,
cari sono essi, e sciagurata io sono”
(Euripide, Medea)

Se c’era già stata una Medea “napoletana” nel percorso di Emma Dante (prodotta nella stagione 2003/2004 dal Mercadante, protagonisti Iaia Forte e Tommaso Ragno) il ritorno a Napoli con “Verso Medea”, nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia 2016, si distingue per una riscrittura da Euripide che si propone d’essere, secondo la stessa regista, “un viaggio verso Medea come se fosse un paese straniero. Medea si sente straniera ovunque. È una barbara che non riconosce altra autorità se non quella del proprio istinto. Si attacca disperatamente al concetto di libertà e sceglie la sua colpa e il suo destino, spinta da pulsioni primitive. È la sua storia che lo esige”.

Il palco è avvolto nel buio e solo una flebile luce opalescente illumina i Fratelli Mancuso, presenti anche stavolta, intonanti canti dai toni arcaici e profondi.

È un prologo malinconico e fremente che annuncia l’inizio del dramma.
Il coro, composto da un gruppo di uomini in vesti nere, prende posto in proscenio. I loro gesti primitivi e semplici riportano alla memoria le lavandaie di una volta, intente a lavare panni nei corsi d’acqua sotto l’arsura rovente del sole; si battono le mani sulle cosce, alzando le gonnelle scure sventolanti. Sono immagini di un Sud senza tempo, sospeso, lontano e vicino insieme.
E sono questi uomini in gonnella a parlare di Medea, a darle voce, l’unica donna di Corinto capace di generare vita: ne parlano con ammirazione e scherzo, amore e un pizzico d’invidia.

Su musiche e canti che mischiano sonorità antiche e moderne, Medea fa il suo ingresso in scena; si muove con sensualità e fierezza insieme. Ha il pancione, lo accarezza con passione, mentre su passi di danza incede verso il coro. Medea è incinta ma il seduttore Giasone l’ha già abbandonata per sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto.

Lasciata la propria terra per amore, ora la maga Medea è una straniera; tutto ciò che rappresentava nella “barbara e arretrata” Colchide, qui, nella “moderna e civile” Corinto, non ha valore. In quanto barbara, è sola e isolata da tutti, non solo perché straniera, ma come donna, in una Corinto abitata da uomini. Alla sua estraneità biologica, oltre che di cultura e tradizione, si aggiunge poi quella straordinaria (e fisica) della maternità.

Se Medea parla il linguaggio dei sentimenti e delle emozioni, è la custode di una conoscenza del mondo e della vita legata ai sensi, e in questo più profonda e primitiva, la Corinto abitata dagli uomini è una città sterile che comprende solo il linguaggio delle regole, delle leggi, della razionalità e del calcolo, del compromesso e della ragionevolezza, e Giasone – gilet di paillettes e borsone scuro a contenere i regali per il nascituro – ne incarna alla perfezione l’essenza.

Sia esso l’abitante del V secolo a. C. o un più vicino contemporaneo, nel ribadire a Medea che sposerà Glauce non per amore ma per ragioni d’interesse, chiedendole di mostrargli gratitudine per gli effetti positivi che il nuovo matrimonio avrà sulla condizione sociale del figlio che attendono, Giasone (Carmine Maringola) incarna valori senza tempo.

Due le scene che, fra tutte, vogliamo ricordare per la loro bellezza: il momento in cui il coro, avvolto nell’oscurità del palco, tira fuori dalla borsa di Giasone stoffe colorate e morbide, che nell’oscurità profonda della scena, esaltate dalle belle luci di Marcello D’Agostino, risplendono come tempere a olio, in un contrasto caravaggesco. E la scena, di grande intensità e carnalità, in cui Medea, lentamente e con sinuosa animalità, seduce Creonte avvinghiandosi attorno alla sua sagoma con l’intero corpo, nella morsa di una danza dalla grande carica erotica e sensuale, al fine di strappargli il consenso di posticipare il suo esilio da Corinto di un giorno.

Ma la tragedia della Medea di Emma Dante è scandita e vive attraverso lo scalciare del bambino nel pancione; prende corpo e si anima nelle contrazioni del parto.
Attorniata e avvolta dal coro Medea partorirà suo figlio, dono e allo stesso tempo punizione: attraverso la realizzazione della vita ecco allora che la tragedia e la vendetta potranno compiersi, nell’atto stesso di negare quella appena generata.

Lo spettacolo vive di momenti di intensità attraverso l’interpretazione di Elena Borgogni, che riesce con maestria ed eleganza a dotare Medea di passionalità verace, selvaggia sensualità e macabra ed esaltante follia, seppure in maniera non sempre omogenea, soprattutto nei momenti più tragici, dove i toni rischiano di diventare a tratti stridenti.

Il lavoro ha elementi di interessante originalità, come la scelta di presentare la citta di Corinto come un luogo sterile abitato da uomini che sognano di avere la capacità di generare la vita, in contrasto con una Medea incinta, incentrando così lo svolgersi della tragedia sul ritmo biologico e fisiologico della gestazione stessa.
Ecco quindi come vita e morte sono anche legate al contrasto tra il modello di “società arcaica” e quello di una borghese “società moderna”, che è poi anche la nostra.
Quello di cui si sente tuttavia la mancanza è una maggiore ricontestualizzazione drammaturgica, da parte della Dante, del testo euripideo, capace, per tematiche e profondità di analisi, d’essere una fonte di inesauribile ricchezza per riflettere sulla contemporaneità.

VERSO MEDEA
Spettacolo-concerto da Euripide
Testo e Regia Emma Dante
Con: Elena Borgogni, Carmine Maringola, Salvatored’Onofrio Sandro Maria Campagna Roberto Galbo, Davide Celona
Musiche e canti: Fratelli Mancuso Coro
Luci Marcello D’Agostino
Produzione: Compagnia Sud Costa Occidentale, Palermo
Organizzazione Aldo Miguel Grompone, Roma

applausi del pubblico: 2′ 10”

Visto a Napoli, Teatro Bellini, il 10 luglio 2016

stars-3.5

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