Il mondo e i pantaloni. L’essenzialità pungente di Vitaliano Trevisan

Vitaliano Trevisan (photo: Dominique Houcmant)
Vitaliano Trevisan (photo: Dominique Houcmant)

Si rinnova, sull’onda lunga dei cambiamenti di questo periodo di ripartenze, anche lo spazio del Teatro Verdi di Padova, e chi attendeva con curiosità il nuovo lavoro di Vitaliano Trevisan, “Il mondo e i pantaloni”, presentato il 4 agosto, si ritrova sul fondo del palco, seduto su una pedana fitta di sedie, che ribalta tutta la prospettiva del teatro, davvero mai così contemporaneo, plurale e suggestivo.

Prima della platea, assieme alla pedana, sempre in scena, tre postazioni a raggio composte di una sedia e un leggio, al centro, poi uno sgabello pronto ad accogliere Trevisan che, entrando con un praticissimo buonasera, annuncia a tutti che si avrà a che fare con una lettura scenica.

La vicenda del testo muove dal conferimento del premio dei premi, il Nobel, ad un vecchio attore e drammaturgo – in scena qui eccezionalmente impersonato dallo stesso Trevisan -, che per la cerimonia si fa confezionare un frac con i relativi pantaloni; pochi giorni prima della premiazione viene però denunciato per molestie da una cameriera d’albergo, e la premiazione salta.
Ma la trama è solo il punto di partenza per portare in scena molte delle questioni care a Trevisan, e più vicine anche all’aria che tira nel mondo dello spettacolo.

Negli scambi di battute fra Trevisan e gli ottimi Giorgio Sangati e Angelica Leo ci si rende conto molto presto di essere di fronte ad un vero e proprio capolavoro, espressione di una piena maturità raggiunta su vari fronti, capace di unire alla perfezione una trama accattivante, un’attitudine compiaciuta alla meta-teatralità, e pure una tendenza citazionista – che con Trevisan non poteva che guardare a Beckett, Bernhard e Shakespeare – in grado di non cadere mai nel banale, ma di essere anzi l’espressione più alta di ciò che davvero oggi si può fare con l’eredità letteraria e teatrale della tradizione occidentale.

Dopo la premessa iniziale sul mondo dello spettacolo – che davvero risulta perfetta in quella forma, capace di accentuare la contemporaneità desertificante ed assoluta del pezzo, senza scadimenti finzionali, ma anzi con le indicazioni di regia semplicemente lette, così in grado di lasciare tutto nelle piene mani dello spettatore – Trevisan, ad una quindicina di minuti dall’inizio del testo, pronuncia una battuta nella quale si chiede se sia meglio togliere ciò che ha appena detto: un riferimento al denaro. “Questo forse lo tolgo”. Mai parlare di soldi a teatro: è proprio questo il punto in cui si attivano tutti i cortocircuiti sui quali poi sarà lo spettacolo intero a giocare.

Lo spettatore, spaesato, si troverà quindi presto a confrontarsi con il problema di un Nobel dato all’attore, e non allo scrittore del testo, che – si dice – in scena non avrebbe saputo dire nulla, con una presentazione delle agitazioni legate al movimento me too con una semplice serie di fraintendimenti, e pure con la messa a tema della questione economica nel mondo del teatro, il tutto retto da una figura attoriale sempre costretta a divenire impresaria di sé stessa, presa dalla voglia di sbudellare qualche direttore artistico, e ridotta invece a farsi cagare in testa in mondovisione, corrompendo la propria identità di artista contro per ricevere non altro che le grandi somme conferite con i premi.

A dominare su tutto è senza alcun dubbio l’essenzialità, ma un’essenzialità pungente e acerba, quella di chi, dopo aver portato avanti un cammino letterario o teatrale, si guarda indietro e riconosce i limiti fasulli di ogni cosa.
Ci si diverte e si apprezza la vicenda in scena quindi in modo completamente nuovo, sin dalle scelte di regia e fino al modo di costruire un sotto-testo di ricombinazioni che esplode in frasi come “Non si è mai visto uno Iago vegano”, o in immagini come quella di un mortifero cracker wittgensteiniano ai 5 cereali, abbinate a riflessioni complessive sul senso teatrale di ciò che si sta mettendo in scena, che sono in presa diretta la coscienza viva del carattere performativo di una fiction corrotta dall’esuberanza del reale.

Un lavoro da vedere, nel quale ci si sente anche accusati, come quando – sezionando i tipi che orbitano attorno al mondo della cultura – Trevisan divide il pubblico in molte categorie, tra le quali spiccano quella di morose e morosi costretti al teatro per passione d’altri, o quella dei furbastri che conoscono tutti e riescono sempre ad avere un biglietto gratis.

Da Shakespeare alla satira su ciò che siamo, “Il mondo e i pantaloni” è uno di quegli accadimenti scenici nei quali davvero si sente che perfino oggi qualcosa è ancora possibile, anche nel teatro italiano, anche in Veneto, a Padova: con un protagonista che, pur brutalmente vicino, come quando sottolinea di voler andare ad Abano a farsi i fanghi, è comunque in grado di muovere chiunque, provando a far capire ad ognuno se davvero si sia in grado di essere all’altezza delle proprie braghe.
Stasera a Treviso, al Teatro Del Monaco.

Il Mondo e i Pantaloni
di: Vitaliano Trevisan
con: Vitaliano Trevisan, Giorgio Sangati, Angelica Leo
produzione: Teatro Stabile del Veneto

durata: 50′
applausi del pubblico: 3′ 20”

Visto a Padova, Teatro Verdi, il 4 agosto 2020

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