VolterraTeatro 14. Dentro al carcere l’ennesima volta è come la prima

Santo Genet (photo: Stefano Vaja)|Santo Genet (photo: Stefano Vaja)|Santo Genet (photo: Stefano Vaja)
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Santo Genet (photo: Stefano Vaja)
Uno dei protagonisti di Santo Genet (photo: Stefano Vaja)

Si è conclusa domenica l’edizione 2014 di VolterraTeatro, di cui “Santo Genet” è stato protagonista.
Oggi ve lo raccontiamo dal punto di vista di due differenti età, esperienze, sensibilità, quelle di Mario Bianchi ed Elisabetta Reale; uno sguardo che si affaccia al carcere per la prima volta, e uno che ha già percorso quei luoghi numerose volte.
Armando Punzo è riuscito comunque a convergerli quei due sguardi, facendo affiorare l’emozione.

La mia prima volta. Di Elisabetta Reale

È da 25 anni che nel carcere di Volterra si respirano arte e teatro, un lavoro prezioso e coraggioso, frutto della sensibilità e della passione di Armando Punzo, attore, regista e drammaturgo che ha scelto la Fortezza di Volterra come spazio di riflessione ed elaborazione drammaturgica. Un progetto di cui tanto si è scritto, anche su queste pagine.
Ma se, come era per me, non si è mai assistito ad uno dei lavori messi in scena dalla Compagnia della Fortezza, se non si sono mai attraversati i luoghi dove essi prendono forma, delle parole lette si rischia di non cogliere la vera, intima, sostanza. Che è fatta di dolore e disperazione, speranza e salvezza possibile, seduzione e fascino. Sentimenti contrastanti e profondi che travolgono letteralmente lo spettatore.

“Santo Genet” è corpo, passione, forza e straziante pena, che attraversano e riempiono quegli spazi della Fortezza dove il lavoro, con sforzo ed impegno quotidiano di Punzo, dei suoi attori/detenuti e di tutti i collaboratori, ha preso forma durante un lungo percorso laboratoriale che lo scorso anno ha mostrato parte dei suoi frutti, e in questa XXVIII  edizione di VolterraTeatro, conclusa domenica, ha trovato compimento.

Ad ispirare il regista e drammaturgo campano, l’opera dello scrittore francese Jean Genet, la sua vita dolente segnata dalla prigione, le sue parole di morte e solitudine.
Ma la narrazione si plasma sui corpi e sulle vite degli attori/detenuti, ognuno nella sua lingua, ognuno con la sua ferita e la sua profonda sofferenza, ognuno capace di fissare negli occhi gli spettatori ed investirli di forza e disperazione, che trasuda dalla linea nera degli occhi, dal bordo rosso delle labbra, dalle rughe che il cerone bianco fatica ad appianare.

Si rivolgono a Santo Genet e cercano un luogo che li possa accogliere in quanto portatori di idee. Dando vita ad una lenta cerimonia, segnata dal rosso che è sangue e passione, tra rose profumate e labbra dipinte, e dal bianco, ora mortifero degli altari e monumenti funebri, ora di sposa infelice.
Un lavoro corale intenso, dalla grande forza espressiva, che si muove tra estremi, come la vita e la morte.

Due ambienti distinti si offrono alla visione; Punzo guida gli spettatori in un percorso di discesa e risalita, un viaggio che parla di salvezza e perdizione, prima all’interno di un abbagliante spazio bianco che è cimitero, “unico luogo dove  è possibile fare teatro” secondo il regista, e anche altare della memoria.
E poi in un bordello – il castello di Irma che nelle sue stanze-celle, nella fase embrionale dello spettacolo, presentato lo scorso anno, ospitava i detenuti intenti a raccontare la loro esistenza in un luogo fuori dal tempo ordinario – dagli arredi opulenti e barocchi, colori sgargianti, profumi intensi e talvolta sgradevoli, echi di musiche lontane, fiori rossi ovunque, pizzi, marmi, pesanti broccati, letti e divani, e un corridoio di specchi, per riflettere le mille verità dell’esistenza di poveri diavoli intenti a raccontare la loro morte quotidiana.

Marinai, delinquenti, vescovi e comandanti, serve e padroni, arrivano da ogni angolo di un mondo che preferisce non guardarli; gli attori/detenuti danno corpo e voce a vite sospese, che trasudano bellezza e sofferenza, dolore e disperazione, inscritti in una pelle segnata dai pesanti contorni di tatuaggi, in gesti e narrazioni che ne svelano i mostri dell’anima. Dalle stanze del bordello si ritorna nello spazio bianco per riannodare le fila di una sofferenza da cui nessuno può sentirsi immune, tra statue, fiori, lacrime ed applausi, si compie un rito di passaggio che non vuol consegnare salvezza o giudizio.
L’incontro, necessario e possibile tra il dentro e fuori, viene sublimato da un walzer che, tra frenesia e liberazione, fa avvicinare attori e spettatori in un ultimo, intenso, coinvolgente contatto.
Un lavoro che colpisce per la forza emotiva sprigionata anche dalle musiche originali di Andrea Salvadori, condotta ed enfatizzata grazie alle splendide scene di Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni e lo stesso Punzo, e ai preziosi costumi di Emanuela Dall’Aglio, dove velluti e fiori si mescolano a divise e abiti sacri.

Diverse, contrastanti, ma ugualmente forti le sensazioni che si provano nell’attraversare, a poche ore dall’inizio dello spettacolo, mentre gli attori sono tra le mani di truccatori e collaboratori, quegli spazi immaginati come luogo di reclusione, e ora adibiti a camerini, sartoria, guardaroba. Vicino a questi anche il “teatrino Graziani”, cella diventata sala prove, nell’intento, che muove tutto il percorso di Punzo, di trasformare un istituto di pena in un istituto di cultura.

Gli spazi della Fortezza sono pure luogo di condivisione, incontro, in nome dell’arte e del teatro, e sta anche in questo il senso profondo di uno spettacolo ricco, complesso, profondamente umano.
Dopo le quattro repliche alla Fortezza, la messinscena frontale, al Persio Flacco di Volterra, per la prima volta in un teatro all’italiana, “per trasporre in quello spazio fisico – scrive Punzo – la medesima atmosfera di rarefazione, per farne una sorta di santuario in cui celebrare il funerale del reale e il rito della nascita del possibile”.

Santo Genet (photo: Stefano Vaja)
Armando Punzo circondato dai ‘suoi’ marinai (photo: Stefano Vaja)

Di nuovo in carcere. Di Mario Bianchi

Spazio Artaud, Spazio Brecht e poi un luogo dedicato a Dalì e un altro a Leopardi. No, non è un museo, ma un carcere. Un’anomalia possibile solo a Volterra, dove Armando Punzo, da 25 anni, dirige con l’insostituibile ausilio dei carcerati e molti collaboratori un vero e proprio teatro stabile (leggi “Armando Punzo: per un Teatro Stabile in carcere“), anche se purtroppo non ancora riconosciuto legalmente.

E per l’ennesima volta torniamo in questo reale luogo dell’utopia dove normalmente ogni due anni  rivive un immaginario poetico legato ad un opera, ad un’idea, ad un autore. Questa volta, in diretta discendenza dallo studio dell’anno scorso, è la volta del mondo del drammaturgo francese Jean Genet, uno degli artisti più discussi del Novecento, in cui vita e opera si sono fusi per creare un mondo poetico dai contorni ben precisi, che la Compagnia della Fortezza ha tradotto in immagini di straordinaria potenza immaginifica.

Di Jean Genet – ladro, marchiato da una vita vissuta ai margini che lo ha gettato in prigione e lo ha fatto fuggire nella legione straniera, omosessuale, abituale frequentatore di postriboli, attratto fortemente da marinai, piccoli banditi da strapazzo, amato dagli intellettuali, asociale, compagno della lotta dei popoli oppressi – prendono letteralmente corpo ossessioni in un fluire di immagini che accompagnano gli spettatori per due ore di spettacolo.

E’ Punzo, a metà tra Genet stesso e Madame Irma, la tenutaria del bordello de “Le Balcon”, che ti accoglie con un sorriso che ammicca e seduce, invita gli astanti mentre passano in mezzo ad una lunga fila in processione di marinai, icone rese indimenticabili dal film di Fassbinder “Querelle”, è lui che indica il cammino da percorrere.

Santo Genet (photo: Stefano Vaja)
Photo: Stefano Vaja

La sinfonia poetica e visuale è come al solito divisa in tre parti.
Nella prima il cortile del carcere è un grande cimitero monumentale di marmo bianco cosparso di sarcofagi, dove un grande angelo sovrasta il luogo in cui si celebra la cerimonia della santificazione dell’autore maledetto. E’ una  cerimonia laica, dove i personaggi dello scrittore osceno, da santificare, accolgono gli spettatori con le parole di Santa Teresa d’Avila e del “Padre nostro” recitato in albanese; pian piano poi tutti si presentano per sedurre un’altra volta, accompagnati da un corteo dorato di angeli.
Sono peccatori, esistenze esecrate che solo la morte rende vivi. Perché è solo in un cimitero che essi possono vivere, attraverso il teatro, un teatro a cui ogni libertà è concessa, senza nessun giudizio morale.

Nella seconda parte il pubblico si trasferisce al chiuso, in lungo budello da cui emergono le stanze di antiche prigioni, castello risplendente dell’anima di Genet, tutte ricoperte da specchi, e dove i personaggi, ancora una volta a stretto contatto col pubblico, si confessano. Ci sono i marinai possenti dallo sguardo adolescenziale di “Querelle”, il tenente Seblon e il forte e bello Jo, Cullaffroy e Divine, protagonisti di “Notre dame des Fleurs”, gli orientali con i loro ombrelli, ma anche i momentanei perdenti che popolano “I Negri” e “I Paraventi”, le rose con il loro miracolo.

Personaggi dal corpo audace che il gioco del teatro stravolge, un gioco continuo dove tutti gli opposti convergono, santità e dannazione, purezza e peccato, virilità e femminilità, fragilità e brutalità, con un rovesciamento continuo dei valori imposti dalla feroce normalità del potere, tutti vissuti non solo sul corpo di Genet, ma anche su quello dei meravigliosi attori detenuti, come lui resi prigionieri nel  carcere della vita.

Poi si ritorna fuori, per il gran finale, con una festa paesana, dove grandi fantocci di cartapesta rendono la santità di Genet gioia condivisa, con tutti gli spettatori che ricoprono il cimitero di anemoni multicolori.
E così per un’altra volta il teatro totale, unico, di Punzo, rende liberi in un unico irripetibile momento sia attori che spettatori.

Santo Genet Commediante e Martire
primo movimento ispirato all’opera di Jean Genet
drammaturgia e regia: Armando Punzogenet
scene: Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni, Armando Punzo
costumi: Emanuela Dall’Aglio
musiche originali e sound design: Andrea Salvadori
aiuto regia: Laura Cleri
movimenti: Pascale Piscina
assistente alla regia: Alice Toccacieli
video: Lavinia Baroni
aiuto scenografo: Yuri Punzo
collaborazione drammaturgica: Giacomo Trinci, Lidia Riviello
collaborazione artistica: Pier Nello Manoni, Luisa Raimondi, Francesca Tisano, Elena Turchi
assistenti volontarie: Daniela Mangiacavallo, Marta Panciera, Adriana Follieri
assistenti stagisti: Francesca Cioccarelli, Marco Felli, Giulia Francia, Antonella Iallorenzi, Simone Liberati, Liben Massari, Andrea Mautone
foto: Stefano Vaja

organizzazione generale: Cinzia de Felice
coordinamento: Domenico Netti
amministrazione: Isabella Brogi
collaborazione organizzativa: Rossella Menna
collaborazione amministrativa: Giulia Bigazzi

direzione tecnica: Carlo Gattai, Fabio Giommarelli
suono: Alessio Lombardi

con: Armando Punzo
e i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza: Antony Talatu Akhadelor, Pietro Giorgio Alcamesi, Vincenzo Aquino, Aniello Arena, Gaetano Arena, Fabio Arimene, Yosmeri Armais Castilla, Antonino Arrigo, Roberto Azzolina, Giuseppe Calarese, Rosario Campana, Salvatore Canneva, Pierangelo Cavalleri, Antonio Cecco, Tauland Cenonollari, Luca Coluccelli, Pierluigi Cutaia, Giovanni D’Angelo, Gianluigi De Pau, Domenico Di Carlo, Fabrizio Di Noto, Abderrahim El Boustani, Nicola Esposito, Giovanni Fabbozzo, Francesco Felici, Alban Filipi, Pasquale Florio, Giuseppe Giella, Pasquale Giordano, Salvatore Giordano, Heros Gobbi, Nunzio Guarino, Noureddine Habibi, Arian Jonic, Altin Kadrija, Ibrahima Kandji, Marco Lauretta, Carmelo Lentinello, Hai Zhen Lin, Wei Lin, Vittorio Lospennato, Luca Lupo, Gentian Makshia, Francesco Manno, Biagio Marangio, Angelo Maresca, Leopoldo Martoriello, Gianluca Matera, Massimiliano Mazzoni, Hidalgo Luis Anibal Mena, Giovanni Moliterno, Hassan Naffe, Raffaele Nolis, Francesco Paglionico, Antonio Palomba, Edmond Parubi, Salvatore Pavone, Alessandro Praticò, Armando Principe, Gennaro Rapprese, Rosario Saiello, Mohamed Salahe, Franco Salernitano, Danilo Schina, Vitaly Skripeliov, Roberto Spagnuolo, Massimo Terracciano, David Tuttolomondo, Alberto Vanacore, Danilo Vecchio, Alessandro Ventriglia, Giuseppe Venuto, Qin Hai Weng

produzione: VolterraTeatro/Carte Blanche-Centro Nazionale Teatro e Carcere – Comune di Volterra – Regione Toscana – Provincia di Pisa – Comune di Pomarance – Comune di Castelnuovo V.C. – Comune di Montecatini V.C. – MiBAC-Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali – Ministero della Giustizia Casa di Reclusione di Volterra – Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra – Fondazione BNC-Banca Nazionale delle Comunicazioni

Visto a Volterra, Casa Circondariale, il 23-24 luglio 2014

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