Due giorni a Volterra, tra le mura possenti della Fortezza Medicea, le suggestive fumarole di Sasso Pisano, le pareti della Badia Camaldolese e altri luoghi sospesi, nel cuore della Val di Cecina, dove il tempo sembra perdere il senso profondo del suo naturale fluire per sospendersi verso l’infinito, dove il confine tra passato, presente e futuro appare labile, e dove lo spazio diventa metafora per urlare con forza un dissenso, una ferita. Luoghi che diventano segno forte di quella idea – “La città sospesa” che volge verso l’infinito – attorno a cui l’edizione 2015 di VolterraTeatro ha costruito un programma denso di spunti e ricco di eventi.
Due intense giornate per cogliere i legami tra spettacoli, istallazioni, performance, esplorare i luoghi, comprendere le relazioni tra essi e coloro che li hanno abitati artisticamente, osservare la partecipazione attenta e attiva di un pubblico che, di anno in anno, rinnova il suo interesse e l’adesione al festival.
Da Volterra e dagli altri comuni della XXIX edizione del festival (Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina, Montecatini Val di Cecina) ricostruiamo un parziale itinerario che segue il percorso della città sospesa, soffermandoci su alcuni spettacoli, a partire dal nuovo lavoro della Compagnia della Fortezza. Uno studio, per questa edizione, primo approdo drammaturgico e scenico di un progetto in divenire – che troverà l’anno venturo la sua veste definitiva, come accade spesso per le creazioni della compagnia – realizzato sotto lo sguardo attento di Armando Punzo, regista, autore e attore in scena insieme al gruppo di artisti-detenuti. Loro, ancora una volta, si confrontano col pubblico numeroso che si muove attento, recettivo, tra gli spazi della Fortezza.
Dopo il viaggio tra gli inferi e gli interstizi più oscuri dell’anima, attraverso le parole di “Santo Genet“, ora è il ritorno all’opera di Shakespeare a fare da ossatura alla nuova narrazione. Ma di Shakespeare viene evocata l’ombra, non la trama, non il contenuto, bensì la capacità di delineare esistenze al limite, umanità che implodono tra i dolori e i patimenti di una condizione “sospesa”.
Ecco allora che “Shakespeare. Know well” vuol essere una “tragedia/onirica/didattica”, un tentativo altro di proporre, attraverso una scrittura collettiva, frammenti sparsi delle opere del Bardo.
39 testi attraversati diventano la parola con cui gli attori-detenuti – “personaggi come fuori scena” scrive Punzo nelle sue note e così appaiono nello spazio lineare del cortile del carcere – urlano le loro personali, profonde, sanguinanti ferite.
Il cortile è il solo spazio dove possono muoversi e, a differenza dello scorso anno, non vi è per chi assiste la possibilità di fruire di un percorso in movimento, di diventare “partecipe” oltre che osservatore. Lo spettatore, sotto il consueto sole cocente che accompagna quasi ogni anno l’esperienza dentro al carcere di Volterra, stavolta avvolto dalle atmosfere musicali suggestivamente costruite da Andrea Salvadori, assiste a quello che sembra essere ancora una volta un rito coinvolgente e collettivo, lento nei ritmi, negli attraversamenti.
Attorno a Punzo-Shakespeare, colui che ha il compito di dare voce ai lamenti, alla sofferenza, alle invettive dei personaggi, si muovono frammenti di vita dolente, uomini vestiti pesantemente, oppure con al collo libri in cartapesta da cui attingere parole.
Tra loro una Desdemona attaccata ad un fazzoletto si aggira barcollante, altre donne sono in cerca di abiti e impegnate a levare in alto calici vuoti; altri cercano percorsi possibili tra croci di legno, scale che evocano la salita e il senso di sospensione, drappi neri, bauli si trascinano con le loro lunghe vesti su un tappeto di sabbia.
A squarciare l’aria parole del Riccardo II, Calibano, Otello, Pericle principe di Tiro, Amleto… invettive tratte da La tempesta, Giulio Cesare, Enrico VI. Un lavoro in fase di elaborazione che deve ancora trovare la sua forma compiuta, dove i tanti attori coinvolti offrono allo spettatore, che non può restare indifferente, i germi della sofferenza e la possibilità di riscatto attraverso corpi vivi e vibranti, talvolta anche con una lingua altra.
Pulsa della loro vita in attesa il cortile della Fortezza, e Punzo come un demiurgo ne delinea i percorsi, ne accompagna i passi, enfatizza lamenti e pensieri.
Sempre la Fortezza – ma anche il teatro di Pomarance – ha accolto l’“A-SOLO, studi di assenza in pubblico”, creazione originale per VolterraTeatro con Aniello Arena, attore storico della Compagnia della Fortezza, di nuovo regia e drammaturgia di Punzo. Un’occasione, per Punzo e Arena – da quasi 15 anni all’interno della compagnia, con un ruolo da protagonista in un film di Matteo Garrone, Gran Prix a Cannes 2012, Nastro d’argento come miglior attore italiano 2013 e una candidatura, nello stesso anno, ai David di Donatello – di lavorare insieme alla costruzione di uno spettacolo in cui far confluire desideri, assenze, paure, sogni, necessità. Una drammaturgia ancora solo scheletro, fatta di suggestioni e idee a partire da “La montagna incantata” di Thomas Mann, e poi gli stimoli che giungono da domande, curiosità, sollecitazioni del pubblico, che si mescolano alle esigenze di Arena messo costantemente alla prova da Punzo. Un’occasione per osservare da vicino il rapporto tra l’attore e il regista: ecco cos’hanno offerto al pubblico in questo esperimento di creazione artistica condivisa, per dare forma a immagini e atmosfere, impreziosito dai monologhi di Arena tratti dai precedenti “Santo Genet”, “Hamlice” e “Marat-Sade”.
Fuori dalla Fortezza altri luoghi sospesi, attraversati, vissuti, riempiti di significati.
Anche quest’anno Archivio Zeta (Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni) ha condotto il pubblico in performance site specific. Un tema, Pilade/Pasolini, e diversi luoghi per un progetto collettivo sviluppato tra Bologna e Volterra, con la possibilità per lo spettatore di fruire di una o più tappe legate insieme da colori che ritornano, dalla suggestione dei set scelti, sospesi tra tempo, spazio, atmosfera: il camposanto vecchio di Montecatini, le Fumarole di Sasso Pisano, Rocca Sillana di Pomarance e la salina di Saline di Volterra dove, per la tappa centrale del progetto, si sono unite le istanze dei partecipanti del laboratorio tenuto da Archivio Zeta e quelle di alcuni operai della fabbrica Smith Bits, in rappresentanza dei circa 200 lavoratori costretti a vivere una condizione sospesa dopo il licenziamento.
Per Archivio Zeta spunto di questa denuncia diventa l’Orestea, filtrata dalle parole che Pasolini ha dedicato al personaggio di Pilade, colui che nella trilogia di Eschilo rimane sullo sfondo. Il diverso che riesce a mettere in crisi automatismo, sicurezze, tutto il sistema di valori di un paese democratico occidentale.
Il suo arrivo, tra le suggestive fumarole di Sasso Pisano, segna la seconda tappa di un percorso composito, costruito grazie alla forza della parola evocata, del gesto ostentato, del coro che segue un lavoro capace di adoperare la forza dello spazio e trasformarla in narrazione.
Il teatro diventa così anche occasione per denunciare un dramma sociale, legandosi con forza alla vocazione di VolterraTeatro.