Nell’illuminante performance con Rihoko Sato, alla Triennale, il coreografo giapponese incarna la grazia in movimento
C’è qualcosa di misterioso e inquietante nel corpo di Saburo Teshigawara, un’entità che sembra sollevarsi dalla stessa oscurità che lo avvolge. La sua danza, pura e rigorosa, si svela come una ricerca spirituale. In “Waltz”, presentato alla Triennale di Milano per FOG 2025, insieme alla storica compagna Rihoko Sato, lo spettacolo diventa un viaggio nell’essenza originaria e popolare del valzer. Corpo, musica e luce si fondono in una sintesi che trascende le leggi naturali.
Il palcoscenico si configura come un mondo sospeso, un paesaggio di luci e ombre. La presenza di Teshigawara emerge come un’entità primordiale, legata all’oscurità. Le sue movenze sono lente, solenni, quasi sacre. Ogni passo, ponderato e preciso, è l’eco di una solitudine profonda, un vuoto che viene riempito solo dal suo corpo in movimento. Il suo volto, maschera di bronzo, è simbolo di silenzio e introspezione. Le mani, che a tratti si alzano come artigli, afferrano la luce senza mai dominarla. Ogni gesto evoca l’invisibile, l’assenza che forma il tutto. Teshigawara sembra danzare per dare forma all’ombra, come se ogni movimento esplorasse il confine tra luce e buio, tra conosciuto e ignoto.
In contrasto, Rihoko Sato incarna la luce. La sua presenza è un bagliore che esplode nell’oscurità, sfidando la gravità con una grazia turbinante che sembra non appartenere a questo mondo. Avvolta in costumi bianchi, si libra sopra il palcoscenico, creando un netto contrasto con Teshigawara. La sua danza è un’energia che si fonde con l’aria, un movimento etereo che sfida i limiti del corpo. I suoi capelli, i costumi e il corpo sembrano muoversi insieme all’ambiente, creando un dialogo costante con lo spazio. La sua energia è un incendio che divora ogni angolo della scena, ma anche una farfalla che, pur bruciando nella luce, non viene mai consumata.
Il contrasto tra i due non è solo visivo, ma filosofico. I corpi di Teshigawara e Sato – lo Yin e lo Yang – rappresentano due forze opposte ma complementari: lui, legato all’oscurità, è la rigidità che permette alla luce di Sato di brillare. Eppure, non si toccano mai: ci sono solo sguardi e movimenti che evocano la tensione di un incontro mai completato. L’amore in “Waltz” è inafferrabile, un desiderio che non si concretizza mai. Non c’è possesso né unione fisica, ma una continua ricerca di un altro che non si raggiunge mai. È una falena che sfiora la luce, una danza che non si ferma, ma continua a sfiorare il confine tra speranza e rassegnazione.
Questa ricerca di un amore che sfugge è il cuore della coreografia. La danza diventa un gioco tra possesso e perdita, tra desiderio e impossibilità di realizzarlo. Il valzer, con la sua struttura ritmica in tre tempi, è la metafora perfetta per questa dinamica: un alternarsi di momenti di grazia e tensione, di euforia e dolore. I movimenti seguono la musica, ma in modo irrimediabilmente trasfigurato. Da Strauss a Tchaikovsky, la musica esplora tutte le sfumature del sentimento umano, creando un paesaggio sonoro che si fonde con il movimento dei corpi. Il valzer diventa il battito del cuore, il ritmo che guida una danza che oscilla tra caos e perfezione.
Tuttavia, “Waltz” non è solo danza di festa, ma anche di dolore. La sua bellezza è intrinsecamente legata alla tragedia, al conflitto tra la leggerezza e il peso dell’esistenza. Ogni passo, ogni giro, è un passaggio tra opposti: solitudine e compagnia, euforia e malinconia. Il gioco della musica, che varia dal sentimentale al cacofonico, esplora queste contraddizioni con una naturalezza che incanta e provoca. La danza di Teshigawara e Sato è un’esperienza che sfida ogni definizione, in cui ogni movimento sembra far esplodere il confine tra il possibile e l’impossibile.
La Triennale di Milano diventa il palcoscenico ideale per questa esplorazione sensoriale. Qui, la luce non è solo elemento scenico, ma protagonista che plasma lo spazio e i corpi, rendendoli visibili e invisibili al contempo. Le luci non sono mai statiche, ma si muovono insieme ai corpi, creando un disegno in continua evoluzione. Questo gioco di luci e ombre è parte integrante del linguaggio che Teshigawara e Sato usano per raccontare la loro danza, trasformando ogni gesto in una sensazione tangibile.
Infine, “Waltz” diventa una riflessione sulla vita, sulle sue altezze e profondità. La danza, a tratti immateriale, ci porta a esplorare la dimensione dell’astrazione. Non c’è solo la bellezza della forma, ma anche il dolore della perdita e della solitudine. Eppure, nonostante tutto, la danza non smette mai di cercare la bellezza, anche nella sua forma più evanescente. Perché, anche quando si fa più concettuale, rimane la forza di un movimento inarrestabile, che ci invita a muoverci, a cercare, a sfiorare, ma mai a possedere completamente. La danza continua, nell’ombra e nella luce, sempre alla ricerca di un equilibrio.
In “Waltz”, Saburo Teshigawara e Rihoko Sato ci regalano un’esperienza di rara intensità, in cui il corpo, la musica e la luce si intrecciano per esplorare il desiderio, l’amore e l’impossibilità di afferrarli. E la danza continua sottopelle, sottotraccia, anche quando il sipario cala, i riflettori si spengono e si esaurisce il balletto della vita.
Waltz
Regia, design luci, costumi: Saburo Teshigawara
Collaborazione artistica: Rihoko Sato
Con: Rihoko Sato, Saburo Teshigawara
Musiche: Joshua Kyan Aalampour, Johann Strauss II, Jean Sibelius, Lehár Ferenc, Peter Gundry, Alfred Schnittke, Secrete Garden, Tom Waits, Frédéric Chopin, Pierre Adenot, Eugen Doga, Iosif Ivanovici, Dmitri Shostakovich, Abel Korzeniowski
Coordinamento tecnico, assistente alle luci: Sergio Pessanha
Saburo Teshigawara, Rihoko Sato / KARAS JP
Durata: 1h
Applausi del pubblico: 3’ 30”
Visto a Milano, Triennale, il 9 marzo 2025
Prima italiana