Zerogrammi celebra il Solstizio d’Inverno insieme a Arearea

Estremo remoto (ph: Alice Durigatto)
Estremo remoto (ph: Alice Durigatto)

“Estremo remoto” e “Magnificat” di Amina Amici: atmosfere rarefatte e trascendenti in scena a Torino a Casa Luft

Il solstizio d’inverno indica un punto di arrivo, è il giorno più buio dell’anno, ma apre anche a un nuovo inizio, tutto da costruire o anche ricostruire, da capo. È ciò che accade quando si verifica uno strappo, una cesura, quando si traccia un confine tra il prima e il dopo.

Zerogrammi, che dal 2001 esplora le potenzialità coreografiche e drammaturgiche di interpretazione della realtà attraverso spunti e sguardi che attingono alla memoria storica ma anche a varie forme d’arte e di pensiero, sceglie di celebrare questa giornata, questa sorta di “rito di passaggio”, condividendo con il pubblico, gli artisti e le artiste due raffinate performance, accomunate proprio dal concetto di “strappo”.

Il luogo è quello accogliente di Casa Luft, uno spazio dedicato alla creazione, che solo raramente si apre all’esterno per incontrare il pubblico. Che sia anche questo un nuovo inizio? Ce lo auguriamo, data la qualità del lavoro artistico che vi si produce.

La prima performance è il risultato di una ricerca ancora in fieri che ha visto collaborare due storiche compagnie di danza e danza-teatro del nord Italia (una è proprio Zerogrammi, l’altra è Arearea, di Udine) che, pur agendo su territori diversi, hanno compiuto negli anni percorsi di ricerca molto affini e nutrito interessi simili. Osservandosi da lontano e stimandosi vicendevolmente, si sono finalmente incontrate.

“Estremo remoto” è un progetto nato dal desiderio di confronto e dal piacere del riconoscimento. E’ però anche la denominazione di una sezione dell’Archivio di Stato di Trieste e dell’Archivio Provinciale di Nova Gorica, entrambe città la cui storia è, per l’appunto, segnata da confini ripetutamente spostati e violati, e da laceranti storie di strappi e difficili ricongiungimenti.
Tra quelle numerose e spesso drammatiche storie, hanno attirato l’attenzione di Marta Bevilacqua, co-direttrice di Arearea, in particolare quelle dei legami spezzati tra i figli e le figlie abbandonate sulla cosiddetta “ruota degli esposti” e le loro madri, costrette a compiere tale gesto dall’indigenza. Accadeva che, nel congedarsi dal figlio o dalla figlia, le donne riponessero nella ruota un piccolo oggetto, un filo, un santino, una fotografia, conservandone però un pezzo, nella speranza che un giorno alle due parti fosse concesso nuovamente di ricomporsi e sanare così lo strappo iniziale.

Marta Bevilacqua e Stefano Mazzotta in scena danno vita e forma a questa lacerazione e a questo ininterrotto desiderio di ricongiungimento con una danza fatta di linee curve, che anela all’abbraccio negato, lo sfiora, lo perde, lo sogna, lo esige. Nel volto di Marta-Maria il dolore via via si radica e diventa macigno, ma non si irrigidisce, non cede alla rassegnazione.
Commovente e, se possibile, ancor più intima la danza di Stefano Mazzotta, il cui desiderio di ricongiungimento sembra nascere a poco a poco, fragile prima, per poi divenire vitale urgenza.
L’azione si avvia alla sua conclusione con parole sussurrate, ma nell’intimo forse gridate, da parte dei due interpreti, e un’atmosfera rarefatta, come di sospensione.

L’incipit della performance prelude al post-spettacolo: nell’entrare in scena Marta e Stefano mostrano al pubblico un’immagine e invitano alcune persone a strapparne un pezzettino; coloro che l’avranno conservato potranno, se lo desiderano, provare poi a ricostruire il puzzle.

Magnificat (ph: S. Mazzotta)
Magnificat (ph: S. Mazzotta)

“Magnificat” si ispira alla figura della Madre di Cristo, alla donna a cui viene a un certo punto rivelato di essere una prescelta e che la sua vita, a partire da quel momento, non sarà più come prima. Uno strappo disumano per una Maria che ci immaginiamo più umana e a cui faranno seguito altre drammatiche lacerazioni, così come è stato deciso.
Amina Amici incarna lo smarrimento, i dubbi, gli incubi, il dolore di questa donna con movimenti del corpo spezzati, alla ricerca di linee, forme, espressioni che ne ritraggano la solitaria ricerca di un senso.
Meravigliosa la sequenza concitata del sonno disturbato, in cui Amina-Maria cerca disperatamente e invano una posizione che le possa restituire la quiete dell’innocenza. Lo sguardo dell’interprete, in questo caso così come per Marta Bevilacqua in “Estremo remoto”, è quanto mai espressivo ed eloquente. Madri entrambe, a cui viene negato di esserlo, perlomeno in termini umani.

Lo spunto per le azioni coreografiche è offerto qui da alcuni tra i più celebri dipinti della Madonna, a lungo osservati da Amina Amici, studiati e poi sottratti alla loro originaria bidimensionalità. A questi si aggiunge un’originale intuizione scenografica: su un lato dello spazio scenico sono disposti decine e decine di bicchieri in vetro di varie forme, quasi a formare una strada, un cammino rischioso che, sul finale, Amina-Maria percorre con estrema delicatezza e a suo rischio e pericolo, posando il piede tra un bicchiere e l’altro, fragile e tagliente.
Un plauso, infine, per le luci che, in questa performance, bene sottolineano le inquietudini correlate allo strappo tra la dimensione umana e la trascendenza.

Estremo Remoto_piccole danze d’archivio
di e con Marta Bevilacqua (Arearea) e Stefano Mazzotta

Magnificat
di e con Amina Amici

Visto a Torino, Casa LUFT, il 20 dicembre 2024

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