Da Motus a Malosti: drammaturgie agli antipodi alle Colline

Thérèse e Isabelle|Caliban Cannibal dei Motus
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Caliban Cannibal dei Motus
Caliban Cannibal dei Motus (photo: Andrea Macchia)

Per la prima volta, dopo tanti inviti di Isabella Lagattolla, direttrice insieme a Sergio Ariotti del Festival delle Colline Torinesi, passo anch’io volentieri una giornata in questa 19^ edizione, assistendo a due spettacoli che più diversi tra loro non si potrebbe: “Caliban Cannibal” dei Motus e lo studio di Teatro di DionisoThérèse e Isabelle”, di cui Klp vi ha già parlato nei giorni scorsi in occasione della tappa romana. A dimostrazione di come la drammaturgia contemporanea si esprima in mille caratteri, spesso agli antipodi tra loro.

Passiamo la nostra giornata al festival con gli amici torinesi Cipolla e Bevione, con cui di solito ci accordiamo per i trasferimenti e il dopo teatro. Il Teatro Astra accoglie tanti cronisti, che testimoniano l’importanza del festival per l’offerta di contemporaneo a Torino: Magda Poli, Sandro Avanzo, Osvaldo Guerrieri…
Isabella Lagattolla ci accoglie luminosa, è molto contenta di come sta andando quest’edizione: tante anteprime, studi, progetti speciali e soprattutto molto interesse.

“Caliban Cannibal”, ultimo lavoro dei Motus qui in anteprima nazionale, è ispirato ancora una volta a “La Tempesta” di Shakespeare.
In scena una tenda di primo soccorso per rifugiati abitata da  due personaggi, A e C, forse Ariel e Caliban; forse, ci dicono le note di regia, dopo l’esplosione dell’isola, dopo la ribellione al mago Prospero.

Nello spettacolo precedente, ispirato sempre al capolavoro del Bardo, parlando di “viaggio” e di migrazione erano le coperte che lo stesso pubblico portava da casa a testimoniare il profondo senso “contemporaneo” dello spettacolo. Stavolta è la tenda, che alla fine verrà trasportata significativamente in un altro luogo.

A e C, Silvia Calderoni e Mohamed Ali Ltaief (Dalì), nella loro sostanza fisica appaiono solo per poco e alla fine dello spettacolo; di loro ci giungono soprattutto gesti e parole, ripresi da due piccole videocamere e “riconsegnati” su sorta di muri messi a lato della tenda.
Sono due esistenze sempre in viaggio, senza un approdo sicuro; del resto, come afferma Dalì, non è il nomadismo una nobile e meravigliosa forma di resistenza?
Parlano a ruota libera, con lingue diverse, mescolando italiano, francese, arabo e inglese.

Lei viaggia, disadorna, con solo uno zaino, lui possiede un hard disk con materiali video per un documentario sulle rivolte tunisine ed egiziane, libri di poeti arabi e opere di filosofi francesi.
A è curiosa e pone sempre nuove domande; C, paziente, risponde e disserta, parla di possibilità rivoluzionarie, di speranze disilluse.
Silvia Calderoni, testimone dell’arte teatrale dei Motus, icona del tempo presente (ricordate il dialogo con Judith Malina?) qui incontra e parla con Dalì, di origini berbere, che non è attore ma è laureato alle Beaux Arts di Tunisi, ora studia filosofia ed è in continua lotta con la burocrazia europea per potersi spostare liberamente, come chiunque “deve” aver diritto di fare.
Alla fine la tenda verrà portata via, pronta per andare in un altro posto per narrare di altri viaggi,  mentre sui muri non ci sono più immagini ma pezzi di manifesti, frasi, scritte…

I pareri sullo spettacolo alla fine non sono unanimi, c’è molta perplessità, si parla di “non teatro” ma soprattutto di testimonianza politica. Per noi è uno spettacolo dell’ultima fase dei Motus, da accettare nei limiti di un’idea molto personale del fare teatro.
Daniela Nicolò, che con Enrico Casagrande come sempre ha costruito lo spettacolo, che conosciamo e stimiamo per la comune esperienza nell’osservatorio critico del Premio Scenario, ci saluta e si dice molto stanca ma contenta.

Thérèse e Isabelle
Thérèse e Isabelle (photo: Andrea Macchia)

Da un teatro politico, volutamente slabbrato, passiamo ad un teatro altamente intellettuale, dove lo stile la fa da padrone e dove ogni elemento è messo al servizio della parola.
Al Teatro Gobetti siamo stati infatti testimoni di “Thérèse e Isabelle”, primo studio che Valter Malosti ha voluto trarre da un capitolo del romanzo censurato di Violette Leduc “Devastazioni”, scrittrice francese molto amata da Cocteau e Sartre.

Malosti, che conosciamo da quando quasi imberbe ci regalò un meraviglioso Ella di Achternbusch, ci avverte: “Guarda che è solo uno studio!”.
Studio e romanzo tratteggiano con dovizia di particolari la reciproca iniziazione amorosa di due adolescenti e il rapporto che si instaura tra loro in un collegio.
E’ il racconto di una passione erotica, deflagrante, espressa con forza poetica, senza il minimo pudore o senso di colpa. La passione delle due adolescenti è semplicemente messa in scena attraverso un dialogo di due attrici.

Isabella Ragonese,Thérèse, con il libro sul leggio, riporta le parole del libro, mentre Roberta Lanave, Isabelle (o forse solo l’immagine di lei in un lontano ricordo che ritorna dal passato), l’accompagna con le emozioni di poche frasi, di gesti frequentemente interrotti.
Le parole sono evocative, rese attraverso una scrittura vibrante che narra di un rapporto audace che dura lo spazio e il tempo di pochi giorni, ma pieni di esaltazione, tra dolcezze infinite e corrispettive crudeltà.

Nessuna sbavatura è concessa, com’è tipico di Malosti, anche se tutto si protrae sullo stesso tono, forse per troppo tempo e fuori dal tempo; bravissime comunque le attrici, bello il gioco di luci e ombre, e il tessuto musicale che accompagna lo spettacolo e il suono dello scorrere delle parole.
Qualcuno nel post-spettacolo s’interroga sul perché di questo studio. Noi rimaniamo nell’attesa del suo ulteriore sviluppo.

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