L’Arturo Ui del Berliner Ensemble. Una lezione di repertorio

L'Arturo Ui del Berliner Ensamble
L'Arturo Ui del Berliner Ensamble
L’Arturo Ui del Berliner Ensamble (photo: Barbara Braun)
La ripresa de «La resistibile ascesa di Arturo Ui» del Berliner Ensemble, che il Théâtre de la Ville ha ospitato a fine settembre, era uno degli appuntamenti più attesi del Festival d’Automne.
Ultima regia firmata da Heiner Müller pochi mesi prima di morire nel 1995, e una delle poche in cui il grande drammaturgo abbia messo in scena un testo non suo, lo spettacolo è sempre rimasto nel repertorio del Berliner, ma non era mai arrivato a Parigi nonostante un passaggio al festival di Avignone l’anno sucessivo al debutto.
Lo fa adesso, nel quadro di un rapporto sempre più stretto che si sta delineando da alcuni anni tra il teatro parigino e la compagnia berlinese, che qui ha portato nel 2009 «L’opera da tre soldi» e nella scorsa stagione «Lulu».

Con questo testo, scritto in esilio tra il ’34 e il ’41 (che recentemente il pubblico italiano ha potuto riscoprire nella messa in scena di Claudio Longhi, con protagonista Umberto Orsini), Bertolt Brecht sperava di aprirsi una breccia a Broadway raccontando l’ascesa al potere di Hitler in forma di music hall, attraverso la storia di un oscuro gangster che si fa strada nella Chicago degli anni ’30, archetipo della metropoli moderna, attraverso un sapiente mix di corruzione e violenza. I tentativi americani però fallirono, e la pièce venne messa in scena solo dopo la morte del suo autore, nel 1959.

Il perverso meccanismo all’opera, ovvero l’alleanza tra politica, potentati economici (qui rappresentati ironicamente dal trust dei grossisti di cavoli) e criminalità, con corollario di pentimento da parte di coloro che credevano di poter utilizzare Arturo Ui ai propri fini e poi scaricarlo al momento opportuno, è raccontato con i toni lucidi e feroci di una farsa epica, che se da un lato, almeno nella versione di Müller, strizza l’occhio al cabaret, dall’altro riflette la fascinazione che il mondo dei gangster americani esercitava su Brecht.

Dietro la Chicago scossa da crisi economica, scioperi, corruzione e violenze, traspare la Repubblica di Weimar ormai agonizzante, mentre il sobborgo di Cicero è evidentemente l’Austria dell’Anschluss. In ognuno dei personaggi, grazie anche all’assonanza dei nomi, è facile riconoscere alcune delle figure storiche che giocarono un ruolo chiave nell’ascesa del nazionalsocialismo: in Dosgsbourogh, sindaco di Chicago, il Maresciallo von Hindenburg, ultimo presidente della Repubblica di Weimar; in Dullfeet, sindaco del sobborgo di Cicero, il cancelliere austriaco Dollfuss, assassinato dai nazisti nel 1934 per la sua opposizione all’annessione al Reich; in Ernesto Roma, luogotenente di Ui caduto in disgrazia, Ernst Röhm, il capo delle SA; nell’equivoco fioraio zoppo Giuseppe Givola, Josef Goebbels; nel molle ed effeminato Emanuele Giri, il Maresciallo Göring.

Müller sottolinea ulteriormente il parallelismo scegliendo di inserire, nella scena del processo contro un disoccupato ingiustamente accusato di aver dato fuoco ai magazzini del porto, un estratto dell’audio originale del processo per l’incendio del Reichstag, che i nazisti addossarono ai comunisti. Al tempo stesso, i nomi italianizzanti del clan di Arturo Ui sono un chiaro riferimento alla mitologia di Al Capone, dalla cui biografia, best seller dell’epoca, Brecht aveva tratto ispirazione.
Nella messa in scena firmata da Müller, la figura del celebre gangster italoamericano è del resto esplicitamente evocata dalla canzone dei Paper Lace «The night Chicago died», che ritorna come un filo conduttore nell’eterogeno paesaggio musicale della pièce.

La scenografia spoglia e le luci nette richiamano un’estetica wilsoniana, ma la forza dello spettacolo risiede essenzialmente nello straordinario protagonista, Martin Wuttke: lo stesso attore scelto nel 1995 da Muller, non senza incontrare all’epoca l’aperta ostilità di alcuni membri della compagnia a causa della formazione «occidentale». Si era infatti all’indomani della riunificazione tedesca, causa per il Berliner Ensemble di una serie di gravi difficoltà finanziarie, e proprio a questa nuova produzione (il testo non era mai stato rimesso in scena dopo la versione storica del 1959) erano affidate le speranze della salvezza economica.
 
Con il suo corpo plastico, in grado diventare repentinamente un cane rabbioso, un adulatore mellifluo, una marionetta inquietante o una svastica umana, nel corso della pièce Wuttke dà letteralmente forma all’evoluzione di Arturo Ui, e modifica la sua dizione di conseguenza: da delinquente di mezza tacca uscito dalle fogne della società, dalla parlata e dalle movenze ridicole, il personaggio si trasforma fino a diventare un perfetto e temuto arringatore di folle in frac e cilindro. Punto focale di questo passaggio, l’esilarante lezione di postura e dizione impartita a Ui da un vecchio e squattrinato attore shakespeariano, interpretato da un decano del Berliner Ensemble come Jurgën Holz: scena magistrale, in cui il vecchio attore tenta di far declamare a Ui il celebre discorso di Antonio tratto dal «Giulio Cesare» di Shakespeare.

Oltre alla presenza di Wuttke, ad assicurare la continuità con la messa in scena creata da Müller c’è la firma di Stephan Suschke, suo assistente all’epoca del debutto e in seguito depositario delle indicazioni del maestro. E qui è doveroso concludere con una postilla sul concetto di repertorio, praticamente assente nel teatro italiano, ma ben presente in quello tedesco: un concetto che si basa su un’organizzazione completamente diversa del lavoro teatrale, basata in Germania su compagnie stabili e numerose, che permette di sottrarre il teatro alla sua natura intrinsecamente effimera per trasmettere determinati spettacoli a diverse generazioni di spettatori.

La Résistible Ascension d’Arturo Ui
direction: Heiner Müller
set design & costumes: Hans Joachim Schlieker
direction cooperation: Stephan Suschke
technical director: Stephan Besson
lights: Ulrich Eh
sound: Alexander Bramann
wardrobe master & make up: Barbara Naujok
sculpture: Jurij Mirtschin
with; Martin Wuttke, Martin Schneider, Volker Spengler, Martin Seifert, Stefan Lisewski, Jürgen Holtz, Margarita Broich, Roman Kaminski, Michael Gerber, Veit Schubert, Michael Rothmann, Uli Pleßmann, Thomas Wendrich, Detlef Lutz, Jörg Thieme, Axel Werner, Heinrich Buttchereit, Michael Kinkel, Victor Deiß, Uwe Preuss, Ruth Glöss, Uwe Steinbruch, Larissa Fuchs, Stephan Schäfer
In the frame of Tandem Paris Berlin organized on the occasion of 25 years of friendship between the cities of Paris and Berlin
durata: 3h 20′ (intervalli inclusi)

Visto a Parigi, Théâtre de la Ville, il 26 settembre 2012


 

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  1. says: massimo rini

    non sono per niente d’accordo: l’italia è un paese di repertorio, a livello artistico e teatrale, le stesse persone negli stessi posti, le stesse azioni, le stesse scelte, gli stessi amici, gli stessi nemici. E questo per anni, anni, anni. E potremo sicuramente consegnare agli spettatori del futuro lo stesso TEATRO DI REPERTORIO di oggi! L’italia è il PAESE DEL TEATRO DI REPERTORIO PER ANTONOMASIA!!! Mi perdoni, Vega, avrà capito che desidero fare dell’ironia. Articolo illuminante.